domenica 18 maggio 2008

Nell'era dei legami liquidi


Sono ormai anni che il sociologo polacco Zygmunt Bauman sta portando avanti un’analisi molto lucida della nostra società post-moderna, affermando che viviamo in una modernità liquida. Il termine “liquido” viene a contrapporsi al “solido” della modernità precedente alla nostra: nella solidità vi era la fiducia nella capacità umana di riplasmare un mondo migliore, un’affrancamento dalle necessità spazio-temporali e una convinzione che l’identità non sia un calco inciso a priori, ma una continua opera in divenire. Nella modernità liquida, la pressione dell’individualizzazione, sta facendo crollare questi argini che fornivano stabilità e riconoscimento reciproco ma, questa enfasi sull’individuo, pone il problema sul concreto diritto ad essere individuo “de facto” e non “de iure”. Individualizzazione e globalizzazione stanno riducendo tutto l’ambito politico nel versante economico, infatti il capitale può spostarsi con grande velocità, in modo che una connessione Internet ed un portatile possono far girare capitali incredibili, cosa invece che non possono fare gli umani, per cui il lavoro resta immobile come nel passato. Bauman afferma che “Alcuni degli abitanti del mondo sono in perpetuo movimento; per tutti gli altri, è il mondo che si rifiuta di stare fermo”. La flessibilità è un sinonimo di libertà creativa per una ristretta elite dedica ad occupazioni intellettuali, mentre per gli altri resta sinonimo solo di precarietà. Nel termine “unsicherheit”, si assommano tre diverse sfumature per indicare la precareità: l’insicurezza lavorativa dichiarata dalla flessibilità, l’incertezza esistenziale e l’assoluta fragilità dei rapporti umani e la vulnerabilità fisica che viene insidiata dalla criminalità. Il crescere di questo sciame di paure è l’effetto cumulato della individualizzazione e della globalizzazione. La tentazione mefistofelica della nostra modernità è quella di potere fare a meno degli altri, per cui le ansie, le angoscie e le paure sono fatte per essere patite in solitudine: la modernità ci consegna un uomo solo, ridotto a sé stesso, euforico e disperato, per questo il condizionamento maggiormente diffuso si basa sulla seduzione, in cui i molti guardano i pochi. Ed in questo guardare ad ideali di pochi, che si viene soggiogati più brutalmente che da una costrizione fisica: l’attenzione sociale e la tensione morale si spostano sull’ultimo matrimonio e scandalo della high society. “Se nell’Ottocento Marx poteva dire che: “L’uomo non aveva nulla da perdere tranne le sue catene”, oggi senza queste catene saremmo persi”, afferma Galimberti.
L’uomo ha fatto propri i due insegnamenti assiomatici della modernità:
• i giorni contano solo nella misura in cui se ne possa trarre soddisfazione, si lavora sul presente quindi godetevi il premio immediato
• qualsiasi cosa si faccia, mantenere aperte altre possibilità, non impegnarsi più del necessario, lealtà e dedizione sono out. Mantenete i vostri impegni ad un livello poco profondo, in modo da potervene liberare senza riportare ferite e cicatrici troppo dolorose.
Alla scuola di Medicina Ponce di Porto Rico si sta lavorando per alleviare il “disturbo da stress post-traumatico” (PTSD) e gli scienziati cercano di aiutare il cervello a “disimparare paure e inibizioni”, per cui si sta cercando di resettare il ricordo delle cose brutte e/o scomode della vita. Gli scienziati dichiarano l’alta eticità della loro ricerca, che vuole aiutare coloro che hanno ucciso e fatto azioni che potrebbero compromettere la loro serenità futura, in modo da non rendere questi esseri dei futuri rifiuti della società. Senza dubbio questo fa riflettere sul concetto di uomo come merce e/o consumatore e sul concetto di riciclaggio di rifiuti, siano essi alimentari o umani, ed in realtà la comparazione delle persone e dei loro rapporti, al valore economico e al campo del business si è ormai consolidata.
Sempre più i giovani occidentali, considerano i genitori che hanno fatto per una vita lo stesso lavoro e che si sono adattati alla quotidianità, come dei deterrenti, dei modelli negativi: inseguire le cose ed acciuffarle al volo, mangiarle ancora calde e fragranti è “in” mentre l’adattamento e la routine è “out”. John Kotter, professore alla Harvard Business School (1995), consiglia di non lasciarsi impelagare da impegni a lungo termine; infatti sviluppare una lealtà istituzionale e farsi assorbire troppo è controproducente, laddove la vita all’interno dell’impresa ha una durata sempre minore. Qui il detto che “il tempo è denaro” è usato all’inverso dell’intenzione: infatti per i nostri tempi il tempo è ladro. Aspettare che arrivi la nostra occasione di gioia o di piacere è un’ingenuità, per cui il passare del tempo porta solo a perdite e non a guadagni, equivale a delle opportunità sprecate, occasioni che non torneranno più. Si soffre di “sindrome dell’impazienza” in cui il messaggio è che il tempo è una seccatura ed una noia, una pena e una mortificazione per la libertà umana come pure l’aspettare che è sintomo di basso status, un sintomo di emarginazione, ed i giornali moderni sono pieni di elenchi di “in” ed “out” con cui fare tendenza.
Mentre si sogna qualcosa senza tempo, come dice il sociologo Alberto Melucci, “siamo afflitti dalla fragilità del presente che richiede solide fondamenta là dove non ne esiste alcuna” ed è l’incertezza il compagno indesiderato, l’ospite inopportuno ed invadente, oggi siamo minacciati continuamente di essere lasciati indietro, di essere messi fuori dal gioco. Ogni impegno ed accordo può essere rovesciato velocemente, ed ogni relazione può essere interrotta o tradita istantaneamente, per cui tenersi in movimento è molto più conveniente che restare o raggiungere una meta. Nella cultura moderna vi è l’emblema del disimpegno, della discontinuità e della dimenticanza. Nessuno spazio per gli ideali di perfezione, lunghi e dispendiosi da raggiungere, vera scommessa su un futuro aleatorio ed ipotetico: sogno e vaneggiamento senza senso. Siamo consumatori appassionati in una società di consumismo. L’America la fa da padrona nelle teorie del rivedibile, per cui la psicologa Elayne Savage raccomanda delle relazioni di coppia rinnovabili, accordi soggetti a ri-negoziazione annuale sul modello dei contratti estinguibili del mercato del lavoro. Qualcuno, tra cui Ray Pahl (2000) ipotizza che le relazioni amicali siano l’ancora di salvataggio della nostra epoca, il solo “veicolo sociale” del mondo tardo-moderno. Le nostre relazioni affettive invece, risentono della stressante ambivalenza moderna: vogliamo relazioni ardentissime e stravolgenti senza voler perdere, sia pure parzialmente, il controllo e l’autonomia che esse implicano.
E’ la nata così la “mania dell’appuntamento veloce” che ormai spopola sia in America che a Londra: un nastro trasportatore di incontri da tre minuti, in cui si gioca l’opzione di essere scelti e di potere concordare un’incontro: se va bene Ok, sennò fine del gioco! Una versione di corteggiamento consumer-friendly, in cui ne sei fuori subito, in cui il riciclo si avvia velocemente, in cui se anche va bene, il rischio appare molto ridotto. Iniziate velocemente, avviate e consumate con velocità, sostituiti con velocità gli inadatti, semmai si sta prospettando la “sindrome da dipendenza” che la velocità di scarico e ricarico, di verifica e ricerca di relazioni, possa invece leggersi come un continuo bisogno degli altri nella nostra vita, con senso di vuoto e di solitudine nel caso di assenza. Abbiamo il terrore di essere esclusi o abbandonati, di essere rinnegati, spogliati, devastati e scaricati perché non abbiamo il senso di noi stessi, siamo soli, senza aiuto e senza destino. Ci manca l’immunità a pensare che possiamo subire una sorte diversa da quella dei nostri rifiuti organici.
Siamo abituati a cercare sempre più soluzioni semplici, per cui di fare percorsi di lungo respiro: ricerche personali, evoluzioni o altre diavolerie, non se ne parla. Ecco allora che, mentre funzionano bene le reti e le connessioni del web, falliscono quelle umane e le relazioni sono sempre più fragili e superficiali, e sia nel lavoro che nell’amore, non si vogliono impegni troppo intimi ed obblighi troppo duraturi. Se tutto dura poco, non ha senso impelagarsi con dei rapporti umani, in cui, si deve perdere tempo per creare senso e per custodire dal logoramento.Per questo non si cercano realtà autentiche ma comunità virtuali, in cui si lavora su “fili episodici di relazioni minime”, come afferma Andy Hargreaves, ed in cui, le relazioni vere sono sostituite da appuntamenti lampo e da msm, moderne creazioni e simulazioni di veri rapporti di amicizia, fratellanza e affetto. Essendo sempre più timidi nei rapporti vis-a-vis tendiamo sempre più a digitare sui tasti di cellulari e di pc. Gli stessi linguaggi contratti e iconici della rete rendono evidente lo “speed” gradito ai nostri tempi, la fagocitazione che il mercato del consumo ha offerto alle nostre ansie, per cui appaioni seducenti molti prodotti di consumo, che puoi acquistare in modo più veloce, rispetto alle persone. La pubblicità associa sempre più i suoi oggetti alla passione, alla sensualità, all’intrigo e alla desiderabilità e noi siamo sempre più alla ricerca di nuovi oggetti del desiderio. Il consumismo ci dovrebbe consegnare le sue verità e noi dovremmo capire che:
• l’usa e getta deve farci ricercare le sicurezze del vero abbraccio umano
• i nostri bisogni di sicurezza ci spingono verso le false comunità dei centri commerciali
• i beni di consumo che compriamo in tali centri ci servono da anestetico e consolazione, riempiono le case e non il cuore e l’anima.
Ma siccome siamo tardi o pigri, comperiamo il nostro nuovo cellulare e torniamo a casa, appena in tempo per vedere l’ultima puntata di Amici o del Grande fratello, dove fanno a pugni per entrare nell’ “usa-e-getta” del divismo, dove tutti sgomitano dimostrando che per vincere, l’importante è sopravvivere a tutti gli altri.
Buona erranza.
Sharatan ain al Rami

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie di questo prezioso intervento che ben riassume non solo le riflessioni straordinarie di un grande sociologo (e filosofo!) ma offre a noi lettori una visione d'insieme chiara e attuale della condizione moderna (o forse post-moderna è più corretto, anche se è una categoria di difficile definizione, confusionaria, e, a parer mio, abbastanza antipatica).
Grazie!

Neal C.

Sharatan ain al Rami ha detto...

Ciao Neal
benvenuto nel blog errante ;-)

Purtroppo la realtà che Bauman descrive nelle sue opere dedicate alla liquidità moderna è molto lucida. Vorrei che l'analisi fosse esagerata ma è vera, giusta e impietosa.

Anche per me questo modello di sviluppo è molto sgradevole e decisamente inumano. Non posso farci nulla, ma posso agire meglio e dire che dobbiamo cambiare... almeno nel mio piccolo. Adesso arrivi anche tu, perciò siamo già in due a pensarla così :-)
Grazie!

Un carissimo abbraccio