martedì 19 agosto 2008

Il rimpianto della moglie di Lot


L’altro giorno riflettevo con un’amica sul passato e sulle radici che esso affonda nel cuore di chi non vuole lasciarlo andare. Questo discorso mi ha fatto venire in mente il racconto della moglie di Lot, il solo uomo giusto salvato da Dio dalla distruzione di Sodoma. Narra la Bibbia che Lot fu avvertito dagli angeli, che gli dissero di prendere la moglie e le figlie e “Dopo averli condotti fuori, uno di loro disse: "Fuggi, per la tua vita. Non guardare indietro e non fermarti dentro la valle: fuggi sulle montagne, per non essere travolto!... quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco proveniente dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale.”
Nel Vecchio Testamento il sale è usato per raffigurare il legame tra Dio e il Suo popolo: “Dalla tua offerta non lascerai mancare il sale dell’alleanza del tuo Dio” (Levitico 2,13). Nel libro dei Re, Eliseo purifica una sorgente gettandovi del sale: “Gli abitanti della città di Gerico dissero a Eliseo: - Come avrai visto anche tu signore, non si starebbe poi tanto male in questa città; solo che l’acqua è cattiva e la nostra terra è senza vita. Allora Eliseo ordinò: - Portatemi una scodella nuova, piena di sale. Gli portarono la scodella. Eliseo andò alla sorgente dell’acqua, vi versò il sale e pronunziò queste parole: “Il Signore dice: Io rendo pura quest’acqua; non procurerà più ne morte ne sterilità”.Come aveva detto Eliseo, quell’acqua divenne pura e lo è ancora oggi” (II Re 2,19-22). Il sale è insieme il simbolo di conservazione ma anche il simbolo di distruzione per corrosione, per questo esso era usato in ogni rituale ebraico per consacrare la vittima sacrificale.
Il racconto – a mio giudizio - insegna la forza distruttiva che esercita il rimpianto e la volontà di rimanere legati al nostro passato, a quello che dovremmo lasciarci alle spalle, ma che esitiamo ad abbandonare. Nessun altro è il significato che la moglie di Lot vuole rappresentare, se non questa incapacità di rialzare il capo e di andare incontro al futuro. La stessa trasformazione in una statua di sale lo dimostra. Il Vangelo di Luca avverte che “Nessuno che abbia messo mano all’aratro e poi si volti indietro è adatto per il Regno di Dio.” (Lc.9,62) Nel racconto biblico la moglie di Lot diventa essa stessa una vittima rituale: immolata all’altare del suo rimpianto. Ma allora, cosa dovremmo conservare del nostro passato? Cosa potrebbe traghettarci attraverso le acque del cambiamento e cosa, invece, rischia di farci finire pietrificati e statici come la moglie di Lot?
Dal passato si può imparare, mettendone a frutto l’esperienza e cercando di fare fruttare il prezzo di tutte le notti consumate nell’amarezza e nell’angoscia. Questa è la lezione più difficile, perché spesso il dolore e la sofferenza restano senza una risposta o perlomeno trovano la nostra incapacità di elaborarne una.
Agli errori del passato spesso rispondiamo con meccanismi di autopunizione, che è la forma più letale di mancanza di amore per se stessi. Per questo, il modo con cui ognuno di noi reagisce al proprio passato, indica anche l’amore che nutriamo per noi stessi. Ma dal passato ci si può anche allontanare e si può intraprendere un nuovo percorso, l’importante è che si sia elaborato e superato, conquistando una sufficiente dose di consapevolezza, sufficiente per attuare una positiva trasformazione. Non si può assolutamente restare con una sensazione di rimozione o di negazione del passato perché esso, seppure lontano, avrebbe ancora la forza di renderci infelici.
Da sempre invece penso che, tutti coloro che fuggono alla loro vita passata per cercare un cambiamento forzato, finiscano per aggrapparsi al primo barelliere che incontrano sulla loro strada, rischiando così di cadere nelle grinfie di un altro torturatore. Le fughe irrazionali sono sempre dettate dalla nostra paura e dalla nostra angoscia, per questo non credo assolutamente al detto che “chiodo schiaccia chiodo” o perlomeno ci credo al negativo, nel senso che perlopiù il chiodo te lo schiacciano nel costato. Ma nel passato si può essere anche invischiati, incatenati alla nostra immagine di bambino emotivo, dipendenti da un cordone ombelicale che può essere lungo anche decenni. Rischiamo di restare eternamente condannati ad una immagine - impressa nella pelle e nei comportamenti – di bambino ferito e dolente che non sa sopportare i rifiuti, di un bimbino sommerso dall’enorme quantità di stress che la sua sensibilità e vulnerabilità ha accumulato e sofferto. Tutta la nostra cultura orientata al successo, ci rende intollerabile subire la vergogna dell’errore e del fallimento personali. Quindi più soffriamo e più la sofferenza ci rende vulnerabili e ansiosi e più ci rende prigionieri di paure ed ansie. Se ci affanniamo a riassumere il controllo della nostra vita, ancor più sprofondiamo nell’abisso, poichè il controllo non è la via migliore per superare la paura. Il controllo porta solo alla repressione della sensibilità personale e ci spinge al lato opposto della barriera, trasformandoci in bambini crudeli ed insensibili. Il modo migliore per curare le nostre ferite è invece la comprensione e la compassione per i nostri errori e per la nostra vita passata. Da un atteggiamento compassionevole ed amoroso nei nostri riguardi, abbiamo la conquista della consapevolezza che in noi vi è una fonte di forza inesauribile, una dignità, una fierezza, una capacità di risorgere che vengono in nostro aiuto quando abbiamo il coraggio di essere ciò che siamo. Tutti abbiamo la capacità di osservare, di contenere e di comprendere, ma ci vuole pratica per cominciare a farlo. Se osserveremo la nostra vita potremo identificare come agisce in noi il desiderio di controllo e come agisce in noi la paura, potremmo allora scoprire che noi stessi non siamo un luogo tormentato ma un luogo rigoglioso in cui vivere e riposare, perché ciò che si conosce non fa mai paura. Diceva Osho:
“Il vero nettare della vita è dentro di te.
Proprio in questo momento puoi ritornare in te,
guardare dentro di te.
Non c’è bisogno né di preghiere né di adorazioni.
Tutto ciò che serve è un viaggio silenzioso verso il tuo essere.
Questo è ciò che chiamo meditazione,
un pellegrinaggio silenzioso verso il tuo essere.
E quando trovi il tuo proprio centro,
hai trovato il centro dell’intera esistenza.”
Se avesse avuto maggiore fiducia nel futuro, se non fosse stata pericolosamente curiosa di vedere cosa lasciava alle sue spalle, se avesse avuto la certezza che doveva celebrare la salvezza insperata ed il consiglio dell’angelo - del messaggero del dio interno - se avesse avuto maggiore coraggio e non una pericolosa curiosità, forse si sarebbe salvata anche la moglie di Lot.
Buona erranza
Sharatan ain al Rami

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