sabato 29 novembre 2008

La jihad sfida Mumbai città tenera e moderna


Credo che sia inutile trovare parole quando c’è chi riesce a dire le stesse cose che ci risuonano dentro, e riesce a farlo anche meglio di noi stessi. In questi giorni, in cui ci raggiungono immagini di morte e di desolazione, vedo ancora sangue nel mio amato oriente,ed in molti abbiamo una forte paura che la fiamma della tolleranza, della ragione, dell’amore e la speranza di un mondo migliore sia ancora troppo fuori dalla nostra portata. Non troviamo il perché di tanto odio, per cui vorremmo avere le ali per andare via da tutto questo, ma sappiamo che è qui il nostro posto. Ci sono cose che non sappiamo capire, magari lo sapessimo fare, ma dobbiamo restare e provare a credere che la paura non esiste,che non esiste la follia del male.
Dal corriere della Sera, l’intervista di Michele Farina allo scrittore Gregory David Roberts.
“«Ero seduto al Leopold la mattina degli attacchi. Ci vado ogni volta che posso, vivo in zona, ho almeno 20 amici all'Oberoi e al Taj. Sono stato fortunato a venire in Australia a trovare i parenti. Mumbai è ferita, ma io lo so che non ha perso il suo carattere migliore: la tenerezza». Gregory David Roberts è l'autore di Shantaram («l'uomo della pace di Dio», Neri Pozza 2005), il libro in cui ha romanzato la sua già romanzesca vita: un australiano iscritto a filosofia, l'impegno, il divorzio, l'allontanamento dalla figlia, l'eroina, le rapine per pagarsi la droga, il carcere e la fuga in India, la malavita, il traffico di passaporti e quello di armi con i mujaheddin afghani al tempo della guerra con i russi, poi la redenzione, l'apertura di un ambulatorio di strada, il libro, il successo, una moglie in Svizzera e infine il ritorno «a casa» nel 2004 ai tavolini del Cafè Leopold, luogo di culto oltre che di birre Kingfisher e di veggie curry rice (il suo piatto preferito).
Hanno colpito il Leopold perché è frequentato da stranieri?
«Perché è un simbolo di tolleranza. È la tenerezza il carattere distintivo di Mumbai, dell'India, del Leopold. Altrove magari senti che sei in un bar indù o in un caffè musulmano. Al Leopold no. E' un'istituzione, fondato da una famiglia iraniana oltre 100 anni fa. E' un party cafè. Ci si incontra, si scherza, si discute. Mi ricorda una delle cose più belle dell'Islam, il pellegrinaggio alla Mecca, quando i fedeli indossano lo stesso vestito bianco. Re o mendicante, nessuno è migliore di un altro».
Hanno ammazzato 2 camerieri e 5 clienti...
«Me l'hanno detto. I proprietari sono due fratelli, Farzad e Farhang: lavorano con le stesse persone da anni, li trattano come parenti. Mi sembra pazzesco che 12 ore prima che morissero io fossi lì a chiedere loro il solito succo di melograna».
Non ve lo aspettavate?
«Era inevitabile. Un paio di giorni prima sono arrivato in auto sotto un grande albergo, indisturbato. L'ho detto al direttore: "controllate le auto, pensate al Marriott di Islamabad"».
Eppure c'erano stati altri attentati...
«Questi sono di scala diversa. Sarebbe stato impossibile bloccarli».
Lei ha bazzicato con la mafia di Mumbai. Possibile reperire quelle armi a livello locale?
«La supposizione più ragionevole indica un'operazione di jihadisti a livello internazionale, strategia sofisticata e brutalità di ragazzini tipo gli studenti che fanno le stragi nelle scuole Usa. Ci avranno messo un anno a prepararla. La mia idea è che i killer siano arrivati da Paesi diversi: un paio dal Pakistan, un paio indiani, un paio britannici... Tutti armati e addestrati nei campi degli estremisti in Pakistan. Negli ultimi sei anni tutti gli attentatori catturati hanno detto di essere stati addestrati in Pakistan».
Ma è normale metterci tanto a neutralizzarli? I terroristi conoscevano la pianta del Taj, le teste di cuoio no...
«Molti le criticano. A torto. I servizi indiani sono i migliori. Per le stragi ai treni del 2006 ci hanno messo pochi giorni per trovare gli autori. Ma perché non mi chiede come evitare questi attacchi in futuro?».
Ecco, come si fa?
«Eliminare le ingiustizie, risolvere il problema palestinese, appoggiare gli islamici moderati, chiudere i campi in Pakistan, smetterla con l'ipocrisia: chi vince libere elezioni va al governo anche se non piace all'Occidente».
Tra le vittime c'è chi era venuto in India a meditare. C'è il rischio che il Paese perda il suo marchio di spiritualità?
«No. In India non ti serve nulla per essere amato, se vieni con il cuore aperto. La gente lo sta dimostrando in queste ore, negli ospedali, nelle strade. Sono morte centinaia di persone, le cicatrici resteranno. Abbiamo perso l'innocenza, ma l'età della tenerezza non è finita».

Buona erranza
Sharatan ain al Rami

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