martedì 10 febbraio 2009

Il viaggio nel corpo bardo


Stanislav Grof, uno dei padri della psicologia transpersonale, afferma che “è difficile trovare materia più universale e di maggiore rilevanza personale della morte e del morire” e indica alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, con lo sviluppo accellerato della società industriale, l’inizio della mancanza di interesse al tema della morte e del morire, come se le società tecnologiche avessero sviluppato un massiccio rifiuto psicologico della morte.

Tale disinteresse è sorprendente se lo paragoniamo con quello che adottavano le società antiche e quelle preindustriali, in cui alla morte era riservato un posto assolutamente centrale e cruciale nella cosmologia, nella filosofia, nella religione e nella vita spirituale, come pure nei ritmi naturali della vita quotidiana.

Ogni pensiero che si collega alla reincarnazione e alle teorie dell’anima, appare come una teoria consolatoria, frutto di una mente infantile ed ingenua. La stessa religione, privilegiando l’aspetto formale ha perso ogni contatto con le fonti spirituali più profonde ed i riferimenti relativi alla vita dopo la morte e le stesse dimore di Inferno e Paradiso, come pure l’assenza di ogni guida al momento del trapasso, impediscono che essa sia vissuta come una risorsa spirituale autentica.

Dobbiamo aspettare gli anni ’70 per vedere la rinascita dell’interesse per le esperienze di pre-morte e di morte, fornite dai malati terminali e dal ritorno alla vita di sopravvissuti a esperienze di pre-morte.

Poi, negli anni ’90, i libri degli psichiatri Raymond Moody, Brian Weiss e altri esperti di reincarnazione e di ipnosi regressiva, sono divenuti bestsellers internazionali. La tanatologia ha raccolto prove impressionanti sui vissuti legati al momento del trapasso e ha registrato il profondo mutamento spirituale avvenuto nei sopravvissuti, nei “ritornati alla vita.” Ma generalmente, nelle società occidentali, manca un appoggio efficace che sappia rendere più facile la transizione.

Non mancano però dei pionieri che hanno saputo sviluppare un caldo ambiente umano ai morenti, ma il rifiuto è molto più vasto, fino a raggiungere il parossismo estremo nell'uso di parrucchieri e di chirurghi che, post-mortem, mitigano gli aspetti più “anti estetici” del cadavere, per rendere il defunto più esteticamente gradevole ai parenti e agli amici.

Anche i media, quando forniscono fredde cifre statistiche di morti per guerre e disastri, contribuiscono a creare una forte distanza emotiva dalle tragedie. Senza parlare del cinema e della televisione che forniscono spettacoli di violenza, elevando ed assuefacendo il gusto dello spettatore su una soglia di maggiore insensibilità e distanza emotiva davanti a scene di morte, omicidi, stupri ed uccisioni. E’ a causa di questa insensibilità, che i paesi industrializzati non sanno offrire adeguato sostegno ideologico e psicologico alle persone che si trovano, per vari motivi, di fronte alla morte.

Ben altro è stato invece il comportamento delle società antiche e delle civiltà preindustriali, nelle quali la morte non è assolutamente vissuta come la fine assoluta e irrevocabile di ogni cosa.

Tutte le mitologie escatologiche di queste civiltà sono unanimi nel ritenere che l’anima del defunto è sottoposta ad una serie di avventure della coscienza. Talvolta si afferma che il defunto compie un itinerario attraverso dei paesaggi fantastici, molto simili ai paesaggi terrestri. Altre volte, si incontrano degli esseri archetipi o mitologici, oppure si affrontano stati olotropici di coscienza. Nel corso di tali stati straordinari di coscienza, si affronta una gamma ancora più vasta di contenuti psicologici: problemi personali irrisolti, sequenze perinatali di morte e rinascita, tematiche transpersonali, ricordi di vite precedenti, motivi mitologici o sentimenti di unione cosmica.

In alcune culture l’anima raggiunge nell’Aldilà una dimora temporanea, come il Purgatorio cristiano o i Loka del buddismo tibetano, mentre in altre culture, l’anima arriva ad una dimora eterna come il Paradiso, il Cielo o un Regno del Sole, e altre ancora credono invece alla reincarnazione o alla trasmigrazione delle anime.
Ma tutte le culture di questo genere sono d’accordo sul fatto che la morte non sia affatto una sconfitta e che non sia affatto la fine di ogni cosa, ma che costituisce un’importante transizione.

In queste società antiche e nelle civiltà preindustriali, le esperienze collegate con la morte sono considerate come viaggi in dimensioni della realtà che meritano di essere studiate, sperimentate e profondamente conosciute. In quelle civiltà, i morenti conoscono bene tutte le cartografie escatologiche della propria cultura, siano esse mappe sciamaniche dei paesaggi funerari oppure delle particolareggiate descrizioni degli scenari e percorsi funebri, come quelli contenuti nel Libro tibetano dei morti o Bardo Thodol.

Il Bardo Thodol è un’opera meravigliosa - una vera guida all’arte del morire - che presenta il momento del decesso come una straordinaria opportunità di liberazione spirituale dai cicli delle nascite e delle morti oppure, se non si riesce a fare tale liberazione, che indica come determinare la natura dell’incarnazione successiva. Secondo il Bardo Thodol, gli stati intermedi tra una vita e l’altra- gli stati “bardo” - sono dotati di maggiore importanza che non tutta l’esistenza incarnata, per cui bisogna prepararsi molto bene a quel momento, attraverso una sistematica pratica spirituale che dura tutta la vita.

Il Bardo Thodol insegna che, alla morte, ogni uomo trova il mondo ultraterreno che è coltivato nella propria religione. Per il buddhismo non esiste un solo paradiso, ma tanti quanti sono gli esseri illuminati, perché ciascuno di essi ha la capacità di creare con la mente una “terra pura” per cui il cristiano incontra il Cristo e l’indiano il dio Vishnu.

Non bisogna stupirsi, non bisogna “accontentarsi” di queste visioni religiose, ma bisogna immergersi in una Luce più profonda e anteriore, che precede ogni forma e nella quale ogni manifestazione si discioglie. Il “Bardo Thodol” è il grande poema della luce, perché essa è il grande esorcismo alla paura della morte; infatti il morire è un nascere alla luce non uno sprofondare nella notte.
Per questo non bisogna avere paura ma bisogna “stare calmi” e seguire la luce, senza cedere a spaventi o a lusinghe ultraterrene, senza farsi terrorizzare dai personaggi che potremmo incontrare nel viaggio, senza temere il Dio della Morte.

La cosa più importante, è che le società antiche e preindustriali avevano una totale accettazione dell’esperienza della morte, ritenendola un’esperienza facente parte integrante al fenomeno della vita: per questo tali civiltà passavano il loro tempo accanto ai loro morenti, assitendoli ed accudendoli e partecipano attivamente ai riti della sepoltura. In esse le persone morivano di solito nel loro ambiente naturale o all’interno della famiglia, del clan o della tribù, circondati dal conforto e dall’affetto dei parenti e degli amici, ricevendo l'aiuto di appropriati rituali riservati al momento del trapasso.

Tali procedure e pratiche, sono dei ritualità stabilite ed attuate per assistere gli individui che stanno affrontando il passaggio finale, ed offrono una guida specifica di cui il morente può avvalersi nel viaggio postumo, come nel caso del Bardo Thodol, in cui i morenti vengono addestrati su come attuare il transito.

Nello sciamanismo vi sono delle pratiche che insegnano agli sciamani novizi a percorrere i Regni dell’Aldilà, e che insegnate durante le pratiche di iniziazione sciamanica attuate nel corso dell’apprendistato compiuto presso gli sciamani anziani.
Dopo avere avuto l’iniziazione sciamanica, lo sciamano sa entrare spontaneamente in tali stati particolari di coscienza ed è in grado di guidare gli altri membri della tribù in questi viaggi visionari. La letteratura sciamanica testimonia che i viaggi interiori sono come i viaggi nei Regni dell’Aldilà e che tali esperienze sciamaniche sono veri e propri addestramenti alla morte.

I moderni studi di tanatologia hanno dimostrato la veridicità di un’affermazione del Bardo Thodol che sembrava assurda e fantasiosa. Secondo il libro, al momento della morte entriamo nello stato di “corpo bardo” e siamo in grado di viaggiare senza ostacoli in qualunque luogo della terra, conservando le nostre percezioni sensorie. Le scoperte più recenti sugli stati di pre-morte dimostrano la capacità della coscienza, separata dalla materia di vedere ambienti vicini e lontani e di conservarne il ricordo, dimostrando la forma di coscienza sciamanica che gli indiani Irochesi chiamavano il “corpo lungo.”

Usando il nostro “corpo bardo” o “corpo lungo”, possiamo accedere a informazioni nuove, che sorpassano ogni conoscenza posseduta in vita, possiamo identificarci con altre persone, percepire lo spirito di animali e di piante, di pietre e persino di oggetti o luoghi.
In questo stato, possiamo andare oltre il tempo ed accedere all’Archivio Akashico, che contiene l’intera storia di ogni anima, la storia familiare e l’intera storia razziale ed umana narrata da quando la Creazione ebbe inizio: poichè non esiste nulla di un individuo che non sia registrato in questo stesso libro, come testimonia anche la Bibbia.

E' nell’Akasha il luogo della quintessenza di tutte le possibili forme di energia materiale, psichica o spirituale, essa contiene in sé i germi della creazione universale che fiorisce sotto l’impulso dello Spirito e della Mente Divina.

Buona erranza
Sharatan

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