domenica 8 marzo 2009

Benvenute alla Festa della foca monaca!


Molte festività assumono il sapore dello stereotipo perché diventano obbligate, e allora vengono erogate in modo automatico come fa un distributore con un pieno di benzina: metti la banconota e ti danno il prodotto. La “Festa della donna” assomiglia ad una cosa dovuta, alla celebrazione beffarda della tutela della foca monaca. Se qualcuno mi dicesse: “Embè! E allora, che cosa c’è di male a tutelare la foca monaca, perché non dovrebbero farlo?” Direi che non c’è nulla di male, assolutamente nulla, ma che comunque la tutela è sempre il sintomo di qualcosa che non va. Senza dimenticare che l’ipocrisia umana, pur tutelando un soggetto, nel contempo non smette si sfruttarne le risorse.

Nel concetto di tutela si presume che ci sia un soggetto debole che deve protetto perché tale soggetto, non ha la forza di poterlo fare in autonomia. Scusate se è poco, ma io vedo enunciati assieme, sia un aspetto di superiorità di una parte su di un’altra, ma anche una visione concessoria e paternalistica di tutela che mi disturba molto, perché il paternalismo rende l’individuo asservito alle altrui volontà.

E’ tipico del paternalismo essere tollerante e magnanimo e quindi offrire delle concessioni, che vengono graziosamente erogate in virtù della magnanimità del principe. Io non mi sento mai gratificata dalle cose che mi vengono concesse, io richiedo solo il riconoscimento dei miei diritti e tu non hai il potere di concedere nulla. Come mi può essere regalato ciò che è già mio? Capito il concetto?

Si tutelano i deboli, quelli che non possono e non sanno far valere le proprie ragioni e, quando si offre una tutela, si presume che l’altro essere sia, in qualche modo, inferiore a colui che eroga. Attenzione però, perché gli uomini e le donne la pensano in modo molto diverso, ma dire che uomini e donne siano diversi, non significa dire che uno dei due sessi sia inferiore all’altro. Siamo diversi e come poterlo negare? Ma è certo che siamo anche uguali e questo, prima o poi, saremo in grado di capirlo e comportarci di conseguenza.

Oggi siamo nel tempo in cui si reputa che lo stupro sia il prodotto della seduzione esagerata della bellezza e della sensualità delle donne, oggi si pensa che la soluzione migliore sia quella di far tornare le donne al burkha, ma nel contempo, si abusa dell’immagine di un corpo femminile che viene mostrato ovunque e senza censure. Ma per le donne più evolute, appare evidente che lo stupro è solo il retaggio arcaico del linguaggio delle caverne, in cui un uomo armato di clava, persuadeva la donna concupita, che lui fosse il più forte ed il più “conveniente” per la sopravvivenza della specie.

L’opinione pubblica vede l’orda barbarica che avanza, senza pensare che la massa degli stupratori è troppo spesso nascosta nella famiglia, nei rapporti di parentela e nel giro delle amicizie, e che l’orda è costituita da padri, mariti e amici che stuprano, approfittando della loro prepotenza, che è superiore alle forze e alla volontà delle donne. Sono insospettabili ed impuniti perché queste donne, molto spesso, neppure denunciano gli abusi per la paura degli stupratori e per la vergogna di dover raccontare le violenze subite.

Lo stupro è sempre uno sfregio alla donna, è lo sfogo dell’impulso di potenza e di prevaricazione che opprime e umilia il corpo della donna, perché il corpo è il primo confine dell’identità personale per le nostre civiltà occidentali e perché il corpo è il confine della tribù e della etnia nelle civiltà tribali. Le due significanze non sono mai separabili, basti leggere le dichiarazioni di coloro che si sono rivelati stupratori seriali familiari, per convincersi che il movente dell’incesto sia l’atto di possesso totale e assoluto sulle donne del proprio gruppo familiare. Credo che una notizia di questi giorni, sia in grado di mostrare fino in fondo tutte le contraddizioni dell’ipocrita festa della donna e la cito come notizia su cui riflettere.

In Brasile, c'è una bambina di 9 anni. Il patrigno di 23 anni abusa sessualmente di lei da quando aveva 6 anni e abusa anche della sua sorellina, che ha 14 anni ed è invalida. La bambina di 9 anni resta incinta di due gemelli. La legge brasiliana "autorizza l'aborto in caso di stupro o pericolo di morte", vale a dire proprio le condizioni entro cui si è venuta a trovare la bambina violentata e alla bambina di 9 anni vengono somministrati medicinali per indurre un aborto farmaceutico.

Allora il monsignore brasiliano Josè Cardoso Sobrunho, arcivescovo di Recife, scomunica i medici che hanno eseguito la pratica abortiva, e puntualizza che il “peccato” d'aborto ricade esclusivamente sui medici e "chi lo ha realizzato, e si spera che, in un momento di riflessione, si pentano." Livio Moraes, primario presso l'ospedale dell'Università di Pernambuco, ha ricordato che la legge tutela le condizioni entro cui si è venuta a trovare la bambina violentata e che la madre era favorevole all’aborto della figlia, sebbene il padre biologico fosse contrario. Allora l'arcivescovo Sobrinho ha risposto al primario che "la legge di Dio è al di sopra della legge umana. Per cui, quando una norma promulgata da legislatori umani va contro la legge di Dio, perde qualsiasi valore."

Leggo ancora su La repubblica del 6 marzo: "Sul caso della bimba stuprata è intervenuto anche il ministro della sanità brasiliano, Josè Gomes Temporao, che ha accusato la Chiesa cattolica di aver adottato una posizione "estremista", "radicale" e "inopportuna" avendo deciso di scomunicare i medici che hanno fatto abortire la bambina di 9 anni."Sono scioccato per la posizione radicale di questa religione che, nell'affermare a torto di voler difendere una vita, mette un'altra vita in pericolo."

Dal Vaticano, risponde padre Gianfranco Grieco, capo ufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia, presieduto dal cardinale Ennio Antonelli. "E' un tema molto, molto delicato", ma "la chiesa non può mai tradire il suo annuncio, che è quello di difendere la vita dal concepimento fino al suo termine naturale, anche di fronte a un dramma umano così forte come quello della violenza di una bimba. L'annuncio della chiesa è la difesa della vita e della famiglia - aggiunge ancora padre Grieco - ognuno di noi deve porsi in un atteggiamento di grande rispetto della vita, anche di fronte a un dramma umano come la violenza di una bambina."

E la scomunica ai medici? "I vescovi giustamente predicano il mistero della vita - risponde il religioso - e la chiesa non può tradire il suo annuncio. L'aborto non è una soluzione, è una scorciatoia". "La scomunica significa non potersi accostare anche al sacramento della comunione e se una persona è nel peccato e non si confessa, per la chiesa - ricorda Grieco - non può fare la comunione. In questo caso i medici sono fortemente nel peccato perché sono persone attive nel portare avanti l'aborto, l'uccisione di un innocente. Sono protagonisti di una scelta di morte."

Capito l’antifona? Capito come si fa a difendere l’innocenza di una bimba, la sacralità della vita, l’integrità della famiglia e soprattutto il rispetto per la legge? Dimenticano forse di dirci come la bimba vivrà la sua sessualità dopo avere subito abusi fino dall'età di 6 anni. Ma forse è difficile dirlo perchè la Santa Madre Chiesa è costituita solo da uomini e perchè la sessualità è peccato.

Nessun’altra risposta "più cristiana" si poteva trovare per il dramma di questa bambina? Se la violenza è sempre un caso esecrabile, a me appare ancora più spaventosa quando viene compiuta ai danni dei bambini, e la fedofilia è uno dei pochissimi peccati che lo stesso Gesù ha condannato con parole durissime, dicendo che chi sarebbe stato di scandalo a “uno solo di questi piccoli” sarebbe stato meglio se si fosse legato una macina da mulino al collo e si fosse buttato nel più profondo dei pozzi. Ma la Santa Madre Chiesa contro la pedofilia si sente fragile.

Ma forse oggi dovremmo anche ricordare quello che accade in Africa, dove le donne sono violentate e mutilate in modo raccapricciante, ma dove nessuno interviene perché non c’è interesse economico o posizioni militari strategiche da conquistare. Leggere gli articoli sulla violenze inflitte alle donne del Darfur è un’esperienza scioccante per una donna, ma leggerle e poi pensare al ramettino di mimosa diventa una provocazione.

Io non amo affatto le celebrazioni dovute e non amo essere provocata, amo molto i fiori, ma oggi penso che le mimose stiano molto meglio appese ai loro rami. Allora festeggiamo se vogliamo, ma questa festa è una coglionata ipocrita e commerciale. Per tutte le gentili signore che ancora ci credono, a loro tutte dico: Benvenute tutte alla Festa della foca monaca!

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