giovedì 5 marzo 2009

Del mentale affamato che non ha mente



L’essere umano non riesce mai a percepire la realtà in modo neutro, impersonale ed oggettivo, ma viene sempre risucchiato dal suo ego, per cui non riesce mai ad essere nello stato di coscienza distaccata che viene definito cone essere nel Testimone.
La coltivazione di questa attitudine a testimoniare viene espressa bene da Nisargadatta Maharaj, come la capacità di sapere osservare, con un atteggiamento di totale distacco e autonomia il mondo esterno, e di saperlo osservare con totale oggettività. Coltivando l’attitudine a testimoniare, si avrà una maggiore sensazione di distacco e quindi una maggiore capacità di controllo, poichè per Nisargadatta Maharaj, la testimonianza non ha nulla di passivo.

Non bisogna assolutamente andare alla caccia del nostro io per ucciderlo, perché sarebbe impossibile, bisogna solo smettere di vederci come scissi tra un Soggetto Osservatore ed un Soggetto Osservato e vederci invece come presenti e testimoni di noi stessi. Solo quando si capisce che non vi è un Io interiore ed un Io esteriore, ma solo un Osservatore Cosciente e vi è la consapevolezza della nostra consapevolezza.

Maharaj, per spiegare il senso del Testimone, usa delle metafore tratte dalla tradizione Veda, narrando l’apologo di Janaka e l’interpretazione del suo sogno di essere un mendicante. Narra l’aforisma che, quando Janaka si svegliò disse al suo maestro, Vasishtha: "Sono io un re che sogna di essere mendicante o un mendicante che sogna di essere re?". E il maestro: "Né l'uno né l'altro, sia l'uno che l'altro. Voi siete e insieme non siete ciò che pensate di essere! Lo siete perché agite in conformità. Non lo siete perché non dura. Potete essere un re o un mendicante per sempre? Tutto muta. Ma voi siete ciò che non muta. Che cosa siete?". Disse allora Janaka: "Sì, non sono un re né un mendicante, sono il testimone spassionato".

Solo quando la nostra personalità si riunisce alla nostra individualità abbiamo la reintegrazione che permette la vera via spirituale, perché nessuna vera spiritualità si manifesta nella dualità e nella scissione delle esigenze dell’uomo, perchè nessun cammino spirituale vero ammette la mortificazione dell’uomo. Quelli che riteniamo Sè interni o Sé esterni sono solo parti del nostro essere di cui siamo inconsapevoli, sono solo il frutto della percezione che noi siamo il nostro corpo.

Ma il fatto stesso di avere il corpo, ci offre l’opportunità di esperire tale atto di coscienza. Siamo intrappolati in una ragnatela di convinzioni e di definizioni verbali che minimamente riflettono solo una parte della consapevolezza di noi, del mondo e delle persone.

Bisogna prestare attenzione a tutto ciò che in noi vi è di grezzo e di primitivo, ancora irragionevole ed immaturo, afferma Nisargadatta Maharaj, e allora avverrà la maturazione: "L’essenziale è la maturità del cuore e della mente. Verrà senza sforzo, quando sarà rimosso il principale ostacolo: la mancanza di attenzione e di consapevolezza. E’ nella consapevolezza che cresci."

Ma cosa ci impedisce di comprendere? Se il nostro cuore e la nostra mente sono agitati, se siamo impauriti, se siamo bisognosi di consolazione, allora non siamo in gradi di comprendere, perché quando noi siamo in preda a delle forti emozioni, siamo completamente ciechi e sordi ad ogni altra questione, e nulla giunge alla nostra comprensione. Ogni aiuto, ogni argomento ed ogni ragione sono completamente estranei ad ogni nostra capacità percettiva o critica: per questo il mentale deve sparire, per questo dobbiamo svincolarci da tutto ciò che ci impedisce di comprendere la realtà.

Il mentale urla continuamente il suo io e lo fa prevalere su ogni altra percezione e comprensione, per questo dobbiamo metterci in grado di capire oltre l’urlo dell’io che sente solo i suoi successi, le sue sconfitte, le sue ingiustizie e le sue paure. Come possiamo creare il silenzio, come far tacere il mentale, come attenuare l’accumulo di paure, di desideri, di tutte le sensazioni che affiorano dinamicamente dal nostro inconscio trasformate in ossessivi pensieri ed in violente emozioni, e che ci mettono in balia di agitazioni e di vortici emotivi?

Sappiamo di vite intere che si sono scandite nelle mortificazioni corporali e nella meditazione, vite mortificate e dedicate alla fuga dalle schiavitù dell’io, ma tutto ciò ha solo impedito di capire e di sentire la grande Verità. Il termine desiderio, in sanscrito si esprime con vasana, che è un termine femminile e ben si traduce con il termine “richiesta” e con il significare delle esigenze che sentiamo in noi stessi, delle sollecitazioni e delle istanze interiori.

Nessuno può negare di essere sollecitato da domande e da esigenze interiori, che sono le esigenze “del cuore affamato che non ha orecchi” e “del mentale affamato che non ha mente” come dice giustamente Arnaud Desjardins. E sono le voci di quel cuore affamato che dobbiamo far tacere, e quanto esse tacciono allora scompaiono le identificazioni, i nervosismi, i rifiuti ed i conflitti e ci si ritrova nei panni del Testimone che è completo in sè stesso, libero ed inattaccabile.

Se aspettiamo che la vita ci ponga nella condizione di uno stato di calma e di azione consapevole, tale da permetterci di essere tranquilli e realizzati,allora non avremo mai alcun risveglio. Si dice che ci si ricorda di Dio solo nei momenti di disperazione, ma la dimensione interiore della coscienza è sempre presente, noi siamo sempre presenti alla nostra dimensione interiore che per noi è sempre aperta. Il cammino spirituale non è un tranquillante per sopire l’anima,ma è il risveglio a sè stessi, alla risposta assoluta sull’Atman che siamo e al nostro modo di partecipare all’Infinito eterno.

Ascoltiamo la voce del cuore e del mentale affamati, non cerchiamo di zittirla, ma facciamo parlare anche il discepolo di conoscenza che esiste in noi, perché ha un alleato onnipotente, la nostra Atman, cioè la nostra Verità Relativa che fa parte della più grande Verità Assoluta. Allora capiremo che non esiste verità relativa o assoluta, così come non possiamo distinguere ogni onda dell’oceano dall’oceano stesso: così percepiamo un barlume della Verità Suprema. Alla domanda:”Come sfuggire alle fiamme dell’inferno” Un maestro taoista rispose: “Saltandoci dentro, proprio dove sono più alte!”

Tutte le ascesi hanno lo scopo di rendere meno affamati il cuore e il mentale, ma facendolo non concorrono che a rafforzarli, invece noi possiamo rovesciare la prospettiva, affermando che esiste già in noi, una Perfezione e una Pienezza che aspetta solo di essere riconosciuta. Dobbiamo credere che in noi vi siano le onde che l’oceano, poiché siamo tanti Atman che concorrono all’oceano di Brahman. Assumendo come criterio la perfezione della Coscienza, cade ogni nostra ragione d'indegnità e d’infelicità.

Il guru di Nisargadatta Maharaj, Sri Siddharameshwar Maharaj del Navnath sampradaya, ormai morente gli disse:"Se vuoi vivere una vita felice, cerca ciò che sei." e aggiunse: "Tu sei il Supremo agisci in conformità. Credilo con fermezza, non dubitarne mai, ricordalo senza intermissione." A Nisargadatta Maharaj non restò che obbedire, e narra: "Continuai la mia solita vita, ma ogni momento libero lo passavo a ricordare il maestro e le sue parole. Poiché non le ho dimenticate, mi sono realizzato."

Buona erranza
Sharatan

1 commento:

Anonimo ha detto...

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Manu