martedì 10 marzo 2009

Nelle Paludi della Tristezza



Anche se a volte sembra incomprensibile, accade che il dolore diventi una molla, affinché si sciolgano i nodi dell’anima. Accade che in fondo a tutte le inquietudini siano nascosti dei nodi che non si possano sciogliere, se non con il dolore. Accade che la tristezza diventi come una cascata inarrestabile, e che queste cascate diventino delle ondate d’indicibile dolore. Non è assolutamente possibile fare resistenza, perché il tuo dolore rimane e non riesce ad andarsene: allora quel dolore va vissuto fino in fondo.

E’ quel dolore che ci aiuta a sciogliere i nodi del cuore, e che ci aiuta ad accellerare la nostra trasformazione. Ma se ci illudiamo che il nostro dolore possa essere lenito da una relazione, da un’amicizia, da una missione o da un lavoro che possano aiutarci o anestetizzarci per tutta la vita, allora siamo in preda al miraggio dell’illusione: tutto dura lo spazio di un sogno, e gli inganni hanno la vita più breve di un sospiro.

Abbiamo davanti un deserto che va attraversato, abbiamo sempre una strada che dobbiamo percorrere fino in fondo, un percorso che nessun surrogato chimico e forma d’illusione, potrebbe cancellare o farci deviare. Se abbiamo il coraggio di percorrere quel deserto, allora la via della libertà potrebbe venirci incontro. Forgiati alla scuola del dolore e della necessità, diventiamo sempre più schietti ed acuti e riusciamo a scendere sempre più in fondo, oltre la superficie della vita: diventiamo belli ed essenziali perchè spogliati di ogni inutile orpello ed artificio.

La gioia che nasce dal dolore è un sentimento forte ed intenso come quel dolore che l’ha partorita, perché il dolore è il passaggio e la decantazione verso una più matura gioia di vivere. Questo ci insegnano tutte le filosofie sapienziali, questo insegnano tutte le scuola di conoscenza perché, troppo spesso, l’uomo evolve solo tramite le vie del dolore, mentre invece dovremmo trovare la strada per evolvere senza rimanere dilaniati dalla vita. Le filosofie orientali indicano nella nostra ignoranza e nel nostro cieco attaccamento, la causa di ogni dolore e di ogni radice dell’infelicità umana.

Paramhansa Yogananda afferma che Dio non vuole che l’uomo soffra, anche se purtroppo l’uomo cambia vita solo dopo avere provato un forte dolore. Il dolore sorge quando l’uomo sceglie una via che è in disarmonia con il suo essere, ed è per questo che l’Inferno sembra eterno, perché è la natura del dolore e della sofferenza che appaiono come tali. Chi soffre, pensa che per lui nulla potrà mai più cambiare, e che tutto sarà sempre penoso e doloroso.

Per l’induismo, qualsiasi stato di coscienza crea una vritti o vortice, che ha la forza di attrarre tutto ciò che entra nella sua orbita, perciò si raccomanda di non essere troppo indulgenti con le nostre sofferenze, perché potremmo rimanere prigionieri del nostro dolore ed essere vittime del vortice. Ne “La storia Infinita” il cavallino Artax prima giudizioso, allegro e coraggioso, muore nella Paludi della Tristezza, le paludi nelle quali si affonda se ci si lascia trascinare da pensieri tristi mentre, con il suo padrone Atreiu, sta cercando la vecchissima Morla per cercare di salvare Fantasìa.

Yogananda avverte di non pensare che, il fatto che un sentimento sia molto diffuso, sia anche il segno che esso sia necessario o naturale. Essere normali significa stare bene ed essere felici, mentre essere infelici significa essere in uno stato di “anormalità” spirituale, cioè essere in preda ad una malattia dell’anima. In realtà, egli afferma, il dolore non faceva parte del piano divino, ma era stato pensato come necessità impersonale di difesa, perché il nostro organismo fosse protetto dai danni, come per il dolore che si prova quando si tocca una stufa calda: il dolore è la protezione che ci è stata donata affinchè possiamo riconoscere ed allontanarci da tutto ciò che ci può arrecare danno.

Secondo la leggenda, quando Dio manifestò l’Universo, esso nacque perfetto, perciò gli uomini e le donne, comprendendo la necessità di essere perfetti, ben presto si sedettero in meditazione e si immersero immediatamente nella beatitudine di Brahman. Dopo avere fatto ancora dei tentativi infruttuosi di fare agire la sua creazione, allora Dio disse: ”Devo fare cadere gli uomini nell’illusione. Dovranno lottare e procedere per tentativi ed errori e fargli Così scoprire, quali azioni e quali comportamenti li condurranno alla beatitudine e alla libertà.” E’ per questo che ci hanno chiusi in questo labirinto, ed è per questo che tutte le scritture ispirate alla liberazione dalle vie intricate di Maya, sono vie di vera liberazione e di somma conoscenza, da usare come preziosi fili di Arianna.

Secondo il Dalai Lama, la vita non è un’illusione, ma ci appare come un’illusione, perciò vi sono molte discrepanze tra come le cose sono, e come invece ci appaiono, per cui una cosa transitoria può apparire permanente, come può accadere che alcune forme di dolore possano apparirci come fonti di piacere. La coscienza è condizionata dalle condizioni precedenti, per cui il nostro dolore viene sempre sperimentato sulla base di preconcezioni, cioè sulla base di quello che noi abbiamo già precedentemente definito come piacevole, spiacevole o neutro.

La sensazione è quindi postulata come un fattore mentale che sperimenta ciò che noi chiamiamo dolore, piacere o sensazione di neutralità, alla fioca luce di contatti precedenti. Inoltre qualsiasi tipo di sensazione, anche la più debole, è in grado di darci una spinta dinamica, perciò non riusciamo a rimanere tranquilli quando siamo in preda alle nostre sensazioni.

Il piacere ci spinge a volerne di più, mentre il dolore ci spinge ad evitarlo. La brama di possesso ci spinge a desiderare gli oggetti, mentre la volontà di far cessare il dolore ci spinge alla volontà di distruggere tutte quelle cose che ci fanno soffrire e a separarci dalle sensazioni dolorose: è l’attaccamento che ci spinge ad aggrapparci mentalmente agli oggetti desiderati, alle visioni del sé, ai sistemi etici e ai comportamenti sbagliati.

Ogni dolore è il frutto dell’ignoranza, perchè è il frutto del nostro oscuramento rispetto alla relazione che intercorre tra le azioni e i loro effetti. Sono queste brame e questi attaccamenti che ci fanno cristallizzare nel nostro karma o che invece, possono infondere una nuova carica di potenzialità al nostro karma. E' a causa di ciò che comprendiamo perché, dalla liberazione dai nostri attaccamenti, possiamo trarre delle risorse per "seminare" un karma migliore da fruire nella futura incarnazione.

Osho avverte che siamo degli osservatori che s’identificano troppo con le apparenze, e ciò accade quando smettiamo di essere testimoni per diventare attori, per questo bisogna provare a distinguere tra noi e la nostra mente. Noi non siamo la nostra mente, ma siamo una cosa molto più grande, di cui la mente è solo una parte. Così facciamo scomparire la nostra mente per fare sorgere il nostro Sé, la cui essenza è assolutamente universale.

Diventando un’essenza universale, scompare sia la mente che il Sé cosi che, anche le cose che ci apparivano più importanti e problematiche, possono divenire irrilevanti. Per questo da ogni dolore ci si difende operando uno sforzo, cioè operando un netto distacco dalla cecità egoica e dall’ignoranza individuale: dal dolore ci si difende facendo un grande balzo evolutivo.

La mente è solo una processione di pensieri che passa davanti allo schermo del cervello, afferma Osho. Tu sei un osservatore, ma ti identifichi con le cose belle e sei coinvolto dalle cose brutte, perché senza dualità la mente non può esistere. E non può esserci nessuna consapevolezza con la dualità, come non può esserci la mente senza la dualità. La consapevolezza non è duale mentre la mente è duale, per questo dobbiamo esercitarci ad osservare. Crea distanza tra te e la tua mente, suggerisce Osho, distanziati dalle cose, siano esse belle come pure siano brutte, e restane il più lontano possibile. Guarda le cose come se fossero le immagini di un film, ma guardale da lontano e cerca di non identificarti con loro, resta centrato in te.

Ci sono persone che corrono il rischio di attaccarsi alle proprie cose, anche se sono dolorose e anche se sono collegate a stati d’animo negativi, quasi come ne traessero piacere, e ciò avviene perché l’io può esistere solo con la mente infelice e nessun io nasce dalla contemplazione estatica: le nostre miserie esistono perché noi le alimentiamo e così facendo ci svuotiamo delle nostre energie e delle nostre risorse migliori.

Solo le emozioni e gli atteggiamenti positivi producono energia e gioia, perché sono delle dinamo di energia, che creano altra energia e che non si svuotano mai. Quando sei felice, anche la vita ti offre di più e l’esistenza ti risponde offrendoti altra felicità, mentre quando sei infelice, triste, arrabbiato o avido, allora sei morto nella tua tristezza, crei una frattura tra te e la vita, e sei preda delle ostilità dell’esistenza. Intrappolato nella tua tristezza diventi sempre più debole finchè, sfinito, vieni risucchiato dalle Paludi della Tristezza.

Buona erranza
Sharatan

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