lunedì 27 giugno 2011

Il ruggito del leone


“Vittorioso io sono e onniveggente,
per sempre distaccato da ogni cosa.
Liberato da tutto e dalla sete,
autodidatta e senza alcun maestro.

Non v’è per me maestro, né compagno;
non v’è in cielo, né in terra alcuno che mi sia pari.
Io sono il Signore del mondo, il supremo maestro:
estinti gli attaccamenti, vi sono io,unico e risvegliato.”

(Majjhima Nikaya, Opamadhamma)

Nel buddismo si afferma che la vita porta dei problemi, perché l’uomo deve affrontare il problema delle credenziali che lo fanno sentire sicuro nelle sue illusioni, perciò i problemi vengono per offrire l’opportunità di riflettere sulla nostra ricerca di sicurezze e per farci riflettere sulla nostra percezione del mondo. Nel buddismo tibetano usano l’espressione “ruggito del leone” per affermare che ogni stato mentale è sfruttabile per aiutare la nostra meditazione sulla vita.

Lavorando con le emozioni si agisce sul 5° skandha cioè sulla coscienza, ma anche sul 4° skandha collegato a “concetto” e “intelletto,” infatti le emozioni devono essere viste come delle formazioni che influiscono su determinati distretti energetici. Le forme di energia sono paragonate all’acqua e il pensiero viene paragonato al pigmento colorato che può tingere l’acqua con le sfumature più variegate e con tinte più forti o più tenui: quando le acque delle emozioni e i colori dell’intelletto si mescolano si formano le nostre colorate emozioni.

I nostri concetti mentali forniscono all’energia delle emozioni un livello e una posizione interiore che sono più o meno elevate e che possono essere intense o superficiali, perciò esse rivelano il senso del rapporto del soggetto con le sue energie, infatti le emozioni diventano molto potenti e vivide. Le emozioni causano problemi perché il rapporto che abbiamo con loro non è chiaro, infatti nel 5° skandha l’ego diventa molto forte avendo acquisito il senso del sé, perciò riesce a esercitare un maggiore controllo e si crea ciò che Chogyam Trungpa chiama un conflitto tra il sovrano e il suo primo ministro.

La condizione è quella del re che non si fida più del ministro più fidato: il consigliere è diventato più potente del suo sovrano, perciò il rapporto di fiducia si è interrotto. Con le emozioni avviene ugualmente, perché noi non abbiamo la fiducia interiore di saper padroneggiare le emozioni e questo ci causa il dolore, in quanto c’è il timore che l’emozione possa travolgerci fino a privarci dell’identità. E’ il fatto di non poter contare su un affidabile centro di controllo interiore che attiva il conflitto tra la forza delle emozioni e il nostro timore di dover soccombere a una forza a cui non possiamo resistere, per questo è necessario imparare come controllare le nostre emozioni.

Solitamente avviene una dura battaglia interiore tra noi e le nostre emozioni, perciò la guerra esiste anche tra noi e le nostre proiezioni, per cui il conflitto viene esteso fino al mondo esteriore. Se vediamo la situazione così, spiega Chogyam, tutto diventa estremamente logico e trasparente, sebbene sia necessario saper discriminare tra “vedere” perciò percepire le cose per come sono e “guardare” che è compiere uno sforzo inutile e dannoso di utilizzare delle credenziali e delle proiezioni per avere un rapporto con il mondo.

Ma tutte le sicurezze fondate sull’inganno e sulle illusioni offrono una felicità e un conforto temporanei, sebbene vi sia un modo molto rozzo di guardare al mondo che è un modo molto più facile di vivere. Infatti esiste l’uso delle proiezioni, che è un modo molto infantile di usare il mondo e di manipolare la realtà che ci causa la ripetizione delle medesime situazioni. Questa maniera di vivere non costituisce un modo fluido di trattare con il mondo, poiché è un modo di vedere rigido che vede tutto in uno spazio congelato e solidificato.

Questo modo di vedere considera il mondo come una sostanza molto dura munita della qualità del metallo o della plastica, poiché tutto è artificioso e artificiale e anche i colori non sono visti come sono, perciò sono privi di luce e trasparenza, ma diventano colori plastificati e falsi come la barriera dualistica che ci rende ciechi al vedere completo. Questo non vuol dire che non siamo consapevoli delle qualità materiali, poiché sappiamo riconoscere se un muro è stato costruito con la pietra o il mattone, ma significa saper apprezzare le vere consistenze dei materiali.

La capacità di percezione che diventa necessaria, dice Chogyam, è assai più psicologica che fisica, perché si allude alla durezza mentale e alla qualità metallica che equivale a considerare il mondo solo nella sua versione solida, che è un modo assai interessante, perché questa percezione è molto individualizzata e riguarda il livello più centralizzato e il tema di fondo, perciò la nostra vera “coscienza del sé.” L’obiettivo finale è quello di sperimentare una “shunyata,” cioè una totale assenza di concetti e di etichette mentali, perciò il fine è la liberazione dalla barriera dualistica che limita la nostra visione.

Ma un obiettivo elevato è molto lento, perciò si costruisce facendo dei piccoli passi prima di poter giungere a vedere il pensiero con tutte le sue tinte e con tutta l’intensità della sua forza, in modo che la visuale divenga chiara e completa. Ogni processo del pensiero e dell’emozione avviene in un luogo che è privo di spazio infatti è in nessun luogo, perciò il suo unico spazio è “lo spazio positivo degli abili mezzi, e dell’operare con le situazioni di vita quotidiana.” L’aspetto positivo delle emozioni e il loro potere creativo avviene tramite lo spazio dell’esperienza, anziché attraverso il loro prodotto: se non abbiamo problemi con la percezione dello spazio anche l’emozione cesserà di creare dei problemi.

Questo processo positivo significa essere “una sola cosa con le emozioni,” che è un’alleanza preferibile al conflitto, infatti la repressione porta alla compressione energetica che causerà l’esplosione della reazione di ciò che viene oppresso. L’opzione diversa è quella di farsi trascinare, perciò consentire l’accesso all’emozione per essere completamente trascinati fino a perdere ogni riferimento e ogni controllo mentale restando in completo asservimento della confusione di mente e di materia. Probabilmente l’espressione espressa in modo totale diventa un modo per alleviare la tensione facendola sfogare, ma l’indulgenza rafforza il difetto rendendolo ancora più potente, perciò è sicuro che così non potremmo costruire alcun controllo sulle nostre emozioni.

L’unico modo intelligente di agire sulle emozioni è quello di entrare in contatto con “la loro sostanza fondamentale, con la loro qualità astratta,” infatti la loro essenza fondamentale è l’energia: la qualità dell’emozione è sempre l’energia. Se impariamo a gestire tutte le forme di energia con cui entriamo in contatto anche l’emozione cesserà di essere un problema, poiché quando esiste un rapporto non c’è paura di sostenere un confronto, infatti restiamo rilassati e abbiamo la tranquillità e l’agio di poter vedere chiaramente la questione.

L’ultima fase con cui si struttura l’ego è quella in cui entra in gioco la coscienza e i concetti mentali, perciò diventa evidente che essi non possono essere eliminati, ma che dobbiamo saper vedere le cose per come sono per diventare abili a trasmutare le loro confuse qualità, in qualità che siano trascendenti. Chogyam Trungpa ci ricorda che l‘ego non è obbligatoriamente un nemico, poiché esso fa parte di noi perciò non possiamo attaccarlo e ucciderlo, poiché sarebbe l’esito letale dell’organismo suicida.

L’ego è assai potente perciò sa trasformare in solida materia anche la sostanza eterica più sottile, ma la spiritualità non prevede nessun atto di lotta e nessuna guerra, poiché lo spirito è amore perciò è nonviolenza. La nostra scissione è prodotta dall’unica barriera che non può essere abbattuta a colpi d’ariete, perciò è il nostro ego che deve imparare ad adattarsi e deve imparare a pensare in modo più fluido e creativo.

Il buddismo usa l’immagine del ruggito del leone per onorare questa coraggiosa intenzione, poiché la volontà di lavorare sul caos per ripristinare l’ordine è la capacità di saper padroneggiare ogni situazione. Quando arriva il leone ed emette un ruggito si ristabilisce l’ordine nel serraglio animale che era in fermento, perciò il leone ripristina la sua signoria, poiché afferma una indiscutibile superiorità rispetto agli altri animali. Saper riportare l’ordine diventa possibile se impariamo a usare le nostre percezioni sensoriali per acquisire una nuova sensibilità e sappiamo analizzare il fluire delle nostre emozioni.

Questa cognizione ci offre una visuale evolutiva completa, poiché le emozioni si possono vedere, ascoltare, odorare, toccare e trasmutare, in quanto esse non possono essere evitate ma devono passare nel fine setaccio della nostra percezione più profonda. Nel vedere le emozioni vi è consapevolezza che esse richiedono uno spazio per svilupparsi, poiché questo dato è oggettivo e non richiede alcuna spiegazione, in quanto nell’uomo avvengono le emozioni e questo va accettato come caratteristica del genere umano.

Quando impariamo ad ascoltare come nascono le nostre emozioni impariamo a sentire la pulsazione delle energie che salgono, perciò sentiamo l’ondata energetica che cresce come una marea, infatti sappiamo indagare il punto da cui hanno origine e conosciamo il tipo di percorso che attuano quando fluiscono verso di noi. Nell’odorare le emozioni c’è una similitudine nella capacità di apprezzare un cibo sapendo valutare l'odore, perciò significa saper prevedere se il cibo è buono dal fatto che l'odore è gradevole: l‘olfatto aiuta l’appetito, perciò il buon odore fa intuire se un cibo è buono e se è adatto al nostro gusto.

Imparare a toccare le emozioni significa che sappiamo percepire l’essenza della situazione, perciò sappiamo sentire una situazione in modo così concreto da poterla quasi toccare in modo concreto. L’energia delle emozioni non è una componente sbagliata o distruttiva, sebbene possa essere una modalità goffa e inesperta di far circolare il flusso energetico: ogni nostra manifestazione che sia attiva, passiva o avida, può diventare una modalità personale di approcciare al mondo, se la sappiamo trasmutare adeguatamente. Trasmutare non significa voler cambiare la qualità fondamentale delle emozioni infatti, come nella pratica alchemica del trasmutare il piombo in oro, non si rifiuta la qualità fondamentale del materiale, ma si diviene abili a modificarne l’aspetto e la sostanza.

E’ così che si percepiscono equilibratamente le emozioni, poiché non possiamo lasciare che l’emozione giunga per travolgere ogni cosa, poiché l’emozione sa strappare ogni ormeggio e rende necessarie delle credenziali che ci rendono schiavi e vittime dell’odio o dell’amore. Illudersi di poter vivere senza provare delle emozioni è come fare un gioco suicida, perciò appare più strategico e opportuno imparare a direzionarle. Diventiamo vittime delle emozioni quando ne siamo devastati, perciò quando perdiamo la testa e il caos viene a sommergerci, perciò nascono l’aggressività e la depressione che sono le reazioni estreme della mente infelice.

Trasmutare significa avere il coraggio di andare fino in fondo, significa non avere paura di lasciarsi andare e sapere come poter cedere all‘emotività, infatti quando l’emozione giunge non ti ripari e non la rifiuti ma corri per accoglierla come una parte intima e gradita. Le nostre emozioni non sono delle estranee, perciò non possiamo temerle o combatterle essendo una nostra componente, infatti possono diventare una parte manovrabile. Le nostre emozioni assomigliano alla danza, perché la danza sa rendere armoniose e fluide tutte le parti del nostro corpo, così deve diventare anche la collaborazione tra noi e le nostre emozioni in modo che possa risuonare un ruggito da leone.

Ogni volta che cessano le resistenze interiori si crea un’onda ritmica, poiché la musica e la danza sono sempre unite: tutto ciò che è inserito nel ritmo samsarico è composto di sostanze che possono essere trasmutate, ma il nostro egocentrismo ci spinge a costruire delle toppe con cui rinforziamo le lesioni delle nostre armature interiori. Ogni toppa che aggiungiamo ci rende sempre più problematico il movimento, soprattutto se rinforziamo le giunture degli snodi energetici: ogni nostra preoccupazione è rivolta a salvare le apparenze delle credenziali, perciò rattoppiamo le nostre armature e rinforziamo le strutture che possono franare.

L’uomo può restare mummificato nelle sue protezioni, poiché le toppe possono impedire ogni movimento e renderci immobili come cadaveri, perciò possiamo costruirci una protezione che sia totale, sebbene possa risultare troppo poco pratica. Con il ruggito il leone affermiamo che siamo in grado di dominare la sostanza delle nostre emozioni, infatti ne riconosciamo ogni sfumatura poiché è fatta della nostra materia, perciò la sappiamo padroneggiare come un territorio su cui esercitiamo un pieno dominio.

Nell’arte indiana si rappresenta il ruggito del leone con quattro leoni uniti nel dorso e con il viso rivolto nelle quattro direzioni per simboleggiare un procedere privo dell’essere, perciò il saper camminare senza un dorso. Una persona priva di paura può andare ovunque, perché il suo procedere possiede la sicurezza interiore che si irradia in ogni direzione. L‘immagine dei Buddha dalle mille facce o dal milione di volti che guardano in ogni direzione esprimono il concetto della consapevolezza panoramica che vede ovunque, perciò non possiede alcun lato da cui un nemico possa attaccarla di sorpresa.

Il ruggito afferma il coraggio di saper sfruttare ogni cosa della vita, poiché nulla è buono o cattivo ma tutto diventa utile se sappiamo renderlo fruibile, perciò ricercare delle credenziali appare un gioco inutile e ridicolo. La vita diventa completa se la vediamo come un pranzo, infatti se abbiamo fame vogliamo avere velocemente un cibo e non abbiamo tempo di leggere un menù. L’assonanza con la vita è nell’imparare che dobbiamo saperci nutrire di ogni cibo che troviamo, poiché non sempre possiamo scegliere dal menù, ma possiamo imparare come elaborare le sostanze per rendere commestibile tutto quello che la vita ci offre.

Quando il leone fa risuonare il suo ruggito ci comunica che ha imparato a fare l’elaborazione anche senza l’aiuto di una fonte esteriore, poiché se la funzione si è ben stabilizzata la capacità relativa si attiva in modo automatico, perciò sappiamo che è sufficiente che il leone giunga nella foresta per ristabilire la pace. Quando saremo diventati più abili arriveremo al punto in cui non avremo più bisogno nemmeno di ruggire per affermare la nostra autorità, poiché sarà sufficiente la semplice presenza del leone per riportare la pace nella foresta.

Buona erranza
Sharatan

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