mercoledì 13 novembre 2013

Il segreto della felicità



“Non c’è dovere più sottovalutato di quello di essere felici.
Quando siamo felici, seminiamo nel mondo anonimi benefici.”
(Robert Louis Stevenson)

“Il segreto della felicità sta nella scelta dei nostri pensieri, o piuttosto nella direzione della nostra attenzione, istante dopo istante. L’infelicità viene dall’automatico concatemento dei pensieri infelici, istante dopo istante. L’infelicità consiste nel giudicarsi felice o infelice, nel domandarsi se si è felici o infelici. Si è felici se si vive nell’istante, in piena coscienza, fuori da ogni giudizio.

L’occhio della coscienza discriminante discerne senza sosta l’assenza completa della “realtà oggettiva” delle cause del nostro dolore e il carattere illusorio della sofferenza stessa: il concatenamento meccanico dei nostri turbamenti e dei nostri pensieri.[…]

Ciò che ci fa male non sono i nostri pensieri ma, ancora di più, i giudizi che diamo sui nostri giudizi. Diamo un taglio netto alle associazioni automatiche di pensiero, ai concatenamenti di pensieri dolorosi e torniamo sul campo alla semplicità dell’istante.

Non si scelgono i propri pensieri, ma si può decidere di non crederci. Colpevolizzarsi per un pensiero cattivo significa aggiungere sofferenza alla sofferenza. Siamo responsabili dei nostri sogni? No. Ma quando l’incubo diventa troppo doloroso è bene svegliarsi: non era altro che un pensiero.

I nostri pensieri, le nostre emozioni: agitazioni di neuroni, flusso di ormoni. Niente di solido. Perché fidarsi?

Emozioni come la gelosia, per esempio, o alcuni fantasmi dolorosi, rinascono instancabilmente, come la gramigna. Come estirparli? Come cacciare questi demoni divoranti? Come acquistare la pace dell’anima? Ricordati che si tratta di illusioni formate dalla tua mente, di un prodotto del tuo pensiero.

Potresti dirigere la tua attenzione verso altre rappresentazioni oppure aprirti a ciò che i tuoi sensi ti offrono in questo istante. Immaginando un dolore che presumi falsamente provenire dagli altri, paragonando ciò che è a ciò che dovrebbe essere, ti stai torturando. Non smettiamo mai di produrre immagini, pensieri, emozioni che ci fanno soffrire.

Siamo il nostro carnefice, il nostro carceriere, per di più illusionisti e bugiardi. I muri e gli strumenti di questa stanza di tortura personale che a volte è la nostra mente non sono che pensieri, ricordi, timori, immagini che non corrispondono a niente di attuale, niente di veramente presente qui e ora.

È facile dissolvere l’invidia. Ricordati che nessuno possiede mai un oggetto. Ognuno vive solo di istanti successivi. Non possediamo mai altro che secondi d’esperienza che svaniscono non appena vissuti. L’invidia è dunque, alla lettera, senza oggetto, poiché la persona invidiata esperisce solo un secondo dopo l’altro, proprio come te e come tutti.

L’unica differenza tra gli esseri sta nella loro capacità di aderire con gioia al divenire. Risiede nella loro più o meno grande propensione a comparare costantemente l’esperienza a “ciò che dovrebbe essere.” Invidiano produci la tua stessa sofferenza a partire da niente.

La sofferenza non deriva dal fatto che non hai ciò che un altro possiede (a questa stregua saresti sempre e necessariamente infelice, poiché c’è sempre qualcuno che possiede qualcosa che tu non hai.) La sofferenza proviene dal fatto che pensi che lui, o lei, possiede ciò che tu non hai.

Quand’anche otteniamo ciò che desideriamo di più, possiamo ancora soffrire terribilmente, non fosse altro che a causa del ricordo della nostra frustrazione precedente. A causa dell’idea che non abbiamo avuto l’oggetto nel momento in cui abbiamo iniziato a desiderarlo, a causa di tutto il risentimento, tutto il dolore che la mancanza e il desiderio insoddisfatto hanno provocato.

A causa della rappresentazione che una parte della nostra vita è stata irrimediabilmente privata di ciò di cui avevamo bisogno… o a causa della nascita di un nuovo desiderio. Ma in realtà il passato non esiste e ora soffriamo mentre dovremmo godere. E nel passato dobbiamo la nostra infelicità solo alla nostra assenza poiché ci siamo consumati nel desiderio invece di godere dell’istante.

Lui possiede ciò che io non ho. Io possiedo ciò che loro non hanno. Lui è più bello, più forte, più felice di me. Si divertono mentre io lavoro. Io valgo meno di … Valgo più di … Sono più felice di … Sono più intelligente di … Sono migliore di … Per ognuno di questi pensieri le nostre anime sanguinano. Il paragone è l’artiglio del diavolo.

Il paragone e l’accumulo sono riflessi intimi della mente. Ogni volta che li osserviamo funzionare ricordiamoci che l’istante presente è l’unica cosa che esiste realmente e che non si cede né all’uno né all’altro. Senza sosta, nella nostra testa, una piccola voce quasi impercettibile, ma instancabile, ostinata, ci critica, ci semina il dubbio.

Passiamo il nostro tempo a scalzarci insidiosamente. Non che occorra esaminarsi, prestare attenzione ai nostri atti e ai nostri stati mentali ma, per l’appunto, sembra che questa voce di critica incessante ci sottragga all’attenzione. Il che le permette di compiere con più tranquillità il suo lavoro di demolizione.

Sfugge all’attenzione perché “l’io” è proprio ciò che non smette di dire a mezza voce: “Non dovresti … fai male … dovresti invece … etc..” Questa voce maledetta che si è stabilita al centro del nostro essere usurpa il posto dell’anima, si fa passare per lei. Ma invece di una natura di scintilla ha il carattere di una doccia fredda che ci sfinisce. Siamo diventati questa doccia fredda.

Ci stupiamo di non incontrare più il calore e la luce del fuoco quando l’ego che abbiamo alle spalle, quando il parassita che ci abita nel petto fa professione di spegnerlo. Tutti coloro che ci criticano, ci colpevolizzano, ci demoralizzano si appoggiano su questa voce che tradisce la nostra vita dall’interno.

Peggio: le circostanze e le persone che ci opprimono traducono questa voce nel mondo “esterno” e la materializzano. Inutile farla tacere. Accontentiamoci di sentirla in maniera distinta e di riconoscerla per ciò che è: il nostro incubo nemico. Perde il suo potere dal momento in cui viene riconosciuta.

Ascolta il tuo discorso intimo. Cosa c’è di nobile nel coprirsi di vergogna, nel giustiificarsi, nel criticare gli altri, nel calcolare i propri beni? Molla la presa su tutto questo e comincia ad amarti, ad amarti esattamente per come sei. Abbandona la sofferenza.

Che atmosfera domina nel tuo intimo? Osserva senza sosta. Senti l’odore della tua anima. […] Quasi sempre la sofferenza è astratta, viene dal paragonare ciò che è e ciò che non è, ciò che abbiamo e ciò che hanno gli altri, il presente, il futuro o il passato. Ricordi che fanno male, fantasmi torturanti, scene immaginarie o instancabilmente rimuginate …

Eppure respiriamo, sentiamo, pensiamo, partecipiamo al miracolo della vita. se solo potessimo fare attenzione per un attimo alla grazia di vivere. Il pensiero ci porta a soffrire. Ci porta all’avidità, all’aggressione, alla paura, alla speranza, all’illusione … Se ci accontentassimo di sentire eviteremmo molto naturalmente la sofferenza. Affrancandoci dai nostri pensieri ci liberiamo dalla paura.

Il problema non sta nel raggiungere il risveglio. Questo comporterebbe immediatamente la speranza di arrivarci, la frustrazione di non esserci ancora, la paura di esserne separati per sempre. Il problema sta nello smettere di soffrire ora e, dunque, per esempio, di smettere di nutrire questo pensiero che non siamo risvegliati.

Non appena lasciamo cadere un pensiero, un problema, un dubbio, una paura, per tornare al presente, siamo risvegliati. Il risveglio consiste nel mollare la presa anche sul risveglio.” (Pierre Lévy - Il fuoco liberatore - Sassella ed., 2006)

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