martedì 8 settembre 2015

Il potere di Maya



Un giorno Narada, il capo dei musici celesti, disse al Signore dell’Universo: “Signore, mostrami il potere d’illusione di Maya che può trasformare l’impossibile in possibile.” Vishnù sorrise e fece un segno di assenso poi s’incamminò insieme a Narada. Dopo aver camminato per un certo lasso di tempo, il Signore Vishnù ebbe sete e disse a Narada: “Ho sete, vammi a cercare da qualche parte, un poco d’acqua.”

Narada prese una brocca e partì alla ricerca di acqua perciò si allontanò sempre di più dal suo Signore, finché avvistò il corso di un fiume. Appena Narada si fu avvicinato alle rive del fiume vide una fanciulla di grande bellezza che attingeva acqua nel fiume. Quando Narada si avvicinò, la fanciulla lo salutò con gentilezza e poi iniziarono a parlare perché si erano subito innamorati uno dell’altra.

Narada la chiese in moglie e lei accettò, perciò si sposarono e andarono a vivere presso le rive del fiume. Trascorso altro tempo ebbero due figli che completarono la loro felicità. In seguito infuriò una pestilenza tremenda che flagellò quei posti, perciò Narada propose alla moglie di abbandonare la loro casa e di fuggire lontano. La donna fu d’accordo perciò fecero i bagagli, presero i figli e si misero in viaggio.

Ma proprio mentre stavano attraversando il ponte sul fiume arrivò una grande ondata che spazzò via i bagagli, fece annegare sua moglie e i suoi figli. Allora Narada, schiantato dal dolore, crollò sulla riva del fiume e iniziò a piangere disperato. In quel momento gli apparve Vishnù che gli chiese: “Narada dov’è l’acqua che ti ho chiesto di portare? Perché stai piangendo disperato? Sei andato via con la brocca da una buona mezz’ora e non sei più tornato.”

Narada smise di piangere subito e chiese: “Da una mezz’ora?” Per la sua anima erano passati quasi 12 anni, ma quel tempo era trascorso solo in mezz’ora. Allora Narada comprese e s’inchinò a Vishnù dicendo:”O Mio Signore, m’inchino davanti alla Tua magnificenza e al potere della tua Maya!”

La storia ci insegna che ogni differenziazione esiste solo nell’ambito di Maya, perché è Maya che causa tutte le differenziazioni perciò l’illusione cessa solo quando Maya cessa di agire. Tutto l’universo, gli oggetti e i fenomeni sono oggetti di creazione, conservazione e distruzione che dipendono dal corpo, dal pensiero e dall’anima. Tutto quello che vediamo nello stato di veglia, di sonno e di sogno è effetto del potere di Maya.

I vedantini dicono che Maya è come un serpente che è sempre in movimento, perché Maya è una forza attiva. Malgrado questo, gli uomini fanno tanti progetti per l’avvenire senza sapere che il mondo materiale è un prodotto di Maya. Ramakrishna dice che il sole brilla nel cielo ma è sufficiente una nuvola per oscurare il suo splendore: il velo di Maya agisce così, perché impedisce di vedere il Satchidananda che è presente ovunque, e Testimone di tutto ciò che esiste.

Il velo di Maya impedisce all’anima individuale di scorgere l’anima universale, infatti le due anime non possono vedersi a vicenda finché il velo non cade. Anche l’ego dell’uomo è Maya, perché il nostro stesso egoismo ci impedisce di vedere il sole, perciò finché non cade il suo schermo non potremo vederlo.

Il sole non può riflettersi nelle acque opache, perciò la conoscenza del sé non esiste nell’uomo che conserva l’idea del “mio” e dell’io. L’io e il “mio” sono il frutto dell’ignoranza, perciò non ha senso dire che il mondo è irreale finché saremo convinti che solo noi siamo reali. Nel Vedanta si dice che solo chi ha realizzato questa convinzione può rendersi conto che il mondo è un prodotto di Maya.

L’illusione del mondo dei fenomeni non si cancella con facilità, perciò resta anche quando si è visto chiaramente l'illusione, e si conosce il potere del suo miraggio. Se vediamo, in sogno, una tigre che ci assale, anche quando ci rendiamo conto che è stato solo un sogno, pur tuttavia non svanisce la palpitazione della paura.

Anche dopo che si è realizzato il samadhi, l’io può permanere nell’uomo sia come servitore che come adoratore. Narrano che Shankaracharya poté conservare l’ego di vidya cioè l’ego della Conoscenza, allo scopo di poter istruire gli altri. Il suo ego conservava una traccia dell’individuazione per mantenere un confine tra la sua persona e la Divinità, e questo gli consentiva di essere un esempio per i suoi fratelli.

Se osserviamo il punto di confluenza tra un canale e il fiume, a volte vediamo che l’acqua del canale scompare e si confonde con quella del fiume. A volte vediamo che compare una leggera corrente che ci indica che il corso del canale resta separato da quello del fiume. Lo stesso avviene in quelli la cui anima è divenuta una con l’anima universale. Costoro conservano, in loro, una piccola traccia d’individualità che segna la separazione tra la loro esistenza e quella della Divinità.

Qualcosa dell’ego resta per consentirgli di conservare il corpo fisico, per consentirgli di poter continuare a pregare devotamente la Divinità, per consentirgli di restare in compagnia dei propri simili e per consentirgli di continuare a servire il loro prossimo. In fondo, anche la possibilità di conservare una traccia d’individualità è il frutto di molte preghiere perciò anche questo residuo di egotismo è Maya.

Buona erranza
Sharatan

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