domenica 25 ottobre 2015

I sei bardo



“Pure con una lampada fra le mani
un cieco non vede la sua strada”
(Proverbio tibetano)

Viene insegnato che tutta la dottrina del Buddha è contenuta nella dottrina del bardo, e che quelli che vogliono conquistare la buddhità in una sola vita devono mettere in pratica i sei bardo. Un bardo è uno stato che “non è né qui, né lì” ossia è uno stato intermedio. Tutti gli uomini vivono 6 tipi di bardo, infatti vivono il bardo naturale della vita attuale, quello allucinatorio del sogno, quello dell’assorbimento meditativo, quello doloroso della morte, quello luminoso dell’avvenire e il bardo karmico del divenire.

Il bardo naturale della vita si vive nel tempo che passa tra la nascita e la morte, perciò ora viviamo nel bardo della vita attuale. La condizione umana è tale da imporre una riflessione sul tempo che ci resta da vivere per fare attenzione a non sprecarlo. Spesso sprechiamo la nostra vita in modo inutile e siamo troppo pigri o veniamo distratti da attività infruttuose.

Non ci ricordiamo o non sappiamo che, dal modo in cui viviamo il presente, dipenderà la vita che potremo avere in futuro. Se facciamo il bene e evitiamo il male arriveremo al momento della morte senza avere rimpianti: questo è l’insegnamento del primo bardo. Il bardo di sogno si vive nel tempo tra l’addormentarsi e il risveglio. Questo bardo somiglia alla morte da cui si differenzia solo perché è di minore durata. Durante il sonno si annullano le percezioni sensoriali e si entra nell’alaya cioè si entra nello stato dell’incoscienza.

In seguito si riaffermano gli stati dell’aggrapparsi e della percezione illusoria perché siamo stimolati dall’energia karmica della nostra ignoranza. Come risultato vediamo che gli oggetti dei sensi si esprimono nello stato di sogno con rappresentazioni che sorgono come oggetti di sogno. La coscienza, che non può muoversi all’esterno, usa gli oggetti interni in modo allucinatorio e ingannevole, infatti questo bardo è detto bardo allucinatorio.

Nel bardo di sonno la coscienza viene ingannata e vaga tra le immagini delle percezioni sensoriali che ha assorbito di giorno. Il dormiente sogna vedendo soltanto le illusioni che ha creato con la sua immaginazione. Molti dicono che noi siamo illusione e che tutto è sogno, ma noi crediamo che la vita del sogno è irreale mentre la vita da svegli è la sola vita reale.

Per i Buddha, sia i sogni che la vita da svegli sono illusori perché sono stati fluttuanti, irreali e impermalenti. Se guardiamo le cose della vita le vediamo finire in un attimo, perché tutto è destinato a svanire in un attimo. Tutto scorre e svanisce velocemente, perché la vita è un flusso costante: questa è la verità ovvia che ci sfugge. Ma noi siamo legati solo alle percezioni sensoriali perciò crediamo che tutto quello che abbiamo siano nostro e che possa durare per sempre.

Questa è la causa per cui restiamo nel samsara, perciò dobbiamo lavorare tenendo conto di tutte le illusioni. E allora preghiamo di saper vedere l’illusorietà del bardo di sogno valutandola come un’illusione. Dobbiamo lavorare anche con il sogno unendo le percezioni diurne e le percezioni notturne. Se avremo l’apprendimento dell’impermanenza della vita ne ricaveremo molti benefici. Il bardo dello stato meditativo è quello che abbiamo nell’equilibrio della meditazione.

Questo bardo è diverso da quello che viviamo nella percezione illusoria della vita. È uno stato di quiete, stabilità e concentrazione fresco e puro come quello dell’oceano che è immobile perché si sono placate tutte le sue tempeste. Ma non possiamo viverlo se la mente resta piena di pensieri o imprigionata in correnti mentali sotterranee e sottili che s’intrecciano confusamente tra loro.

Si dice che i meditanti non devono cadere in preda di pensieri che arrivano come ladri che ci tolgono la presenza mentale e la diligente concentrazione che sono necessarie per entrare nella meditazione. Il bardo di sogno e il bardo dello stato meditativo sono suddivisioni del bardo della vita presente, nel quale è inclusa anche la pratica buddista. E seppure avvenisse in modo intermittente può venire attuata tutta la vita, perciò si può avere la speranza di riuscire.

Il doloroso bardo della morte accade quando sentiamo che la vita ci sfugge perché siamo malati, vecchi o per qualsiasi altro motivo. A quel punto vediamo che tutto quello che abbiamo compiuto è inutile, perché dobbiamo lasciare ogni cosa. Anche se abbiamo tutto l’oro della terra non possiamo portarci via nulla. Quanto arriva il momento di andare via non teniamo più nulla.

Portiamo con noi solo il karma positivo o negativo, le nostre azioni diventano l’unico bagaglio che terremo con noi. Qualcuno avrà perfezionato la pratica del trasferimento della coscienza, e saprà proiettare il suo principio di coscienza nel campo puro. In questo modo potrà riprendere il corso del progresso spirituale che ha fatto. Seppure fossimo esperti dovremo morire senza provare rimpianti, e avremo fatto un bel favore a noi stessi.

Molti insegnano a restare consapevoli nel momento della morte. Dobbiamo avere il tempo di tagliare le catene che ci legano ai beni terreni, perché questo legame ci riporta nel samsara. Ma se sappiamo trasferire la nostra coscienza in una terra pura appena cessa il respiro, abbiamo la condizione migliore per continuare la nostra evoluzione. A ogni buon conto è meglio prepararci al passaggio in modo che la morte non venga inattesa.

Se siamo pronti non avremo una morte dolorosa o difficile, e andremo incontro al momento cruciale senza avere paura. A ogni buon conto, il momento giusto per prepararsi è adesso, cioè nel bardo della vita presente. Va saputo che, con la morte, il corpo si dissolve perché i cinque elementi si separano. Questo inizia quando cessa il respiro e finiscono i movimenti interni.

Quando l’essenza bianca che abbiamo ricevuto da nostro padre e quella rossa che abbiamo ricevuto da nostra madre si fondono, in quel momento, la mente lascia il corpo. La mente di chi non ha nessuna esperienza si disperde in una profonda incoscienza. Ma la mente dei maestri e di chi si è preparato si dissolve nello spazio puro e in una grande luce. Il frutto della pratica è avere la capacità di perdersi in una luce pura e incontaminata come il cielo.

Se una persona si è addestrata a vedere la luminosità durante la meditazione, non appena la luce si presenta dopo la morte avviene l’incontro tra la luminosità madre e la luminosità figlia che permette la liberazione. Chi la pratica la chiama “dimorare nel thuktam” ossia meditare nel momento della morte. Solitamente, al momento della morte, giunge l’oscurità e la coscienza si perde nelle percezioni del 5° bardo ossia nel bardo della realtà assoluta.

In questo bardo sorgono divinità pacifiche e divinità iraconde, perché entrambi sono presenti nella nostra consapevolezza. Il loro arrivo è preceduto da suoni e da luci che spaventano quelli che non hanno dimestichezza con quelle realtà. Ma appena scompare la paura anche i suoni e le immagini svaniscono. Il bardo del morire va studiato con quello della realtà ultima, infatti dopo che i 5 elementi svaniscono anche la coscienza si perde nello spazio puro e immacolato colmo di luce.

Se non conosciamo questo bardo e non siamo preparati, non sapremo riconoscere la grande luce. Quella luce non dura a lungo se non viene riconosciuta, se invece la riconosciamo dura più a lungo. La cosa più importante è restare consapevoli quando arriva il momento della nostra morte, e riuscire a recidere l'attaccamento alle cose. È importante anche invocare il nostro maestro affinché possa aiutarci a raggiungere un campo puro, dopo la nostra morte.

Una preghiera concentrata e molto sentita riesce sempre utile, perché può raggiungere un Buddha compassionevole che, sentendosi invocare per nome, verrà a sbarrare la strada dell’infelice rinascita in regni inferiori. Quando la morte causa la separazione tra il corpo e la mente resta soltanto un corpo sottile e luminoso. Resta un corpo luminoso che ci crea l’impressione di poter vedere il cammino che si sta facendo. Per questo motivo gli esseri che vagano nel bardo del divenire si vedono e si sentono tra loro.

La caratteristica bardo del divenire è che quando la coscienza di bardo vuole trovarsi in qualche luogo, essa vi si ritrova subito. Il corpo di bardo è un corpo mentale che può andare ovunque, e che può essere presente in ogni luogo. Chi è morto da poco può sentire quello che avviene dopo la sua morte. La mente di bardo del morto gioisce o soffre mentre vaga nello stato intermedio.

Nel bardo del divenire restano solo quelli che, nella vita, non hanno fatto il male ma neppure il bene. Chi ha fatto solo il male, non entra nel bardo del divenire, ma rinasce subito nei regni inferiori, invece chi ha fatto solo il bene entra subito in una terra pura. In genere, chi è vissuto come un essere che non ha fatto troppo male ma neppure troppo bene dovrà entrare nel bardo del divenire che prevede la sofferenza.

Si racconta che quando Avalokiteshvara, il Grande Buddha della Compassione, perse la speranza di riuscire a salvare tutti gli esseri senzienti la sua testa si spezzò in undici pezzi e il suo corpo si frantumò in mille pezzi per il dolore. A quel punto gli apparve il Buddha Amitabha che benedisse ogni frammento del suo corpo in modo che Avalokiteshvara poté rinascere con undici teste, mille braccia e mille occhi per poter continuare a lavorare alla salvezza di tutti gli esseri senzienti.

Buona erranza
Sharatan

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