sabato 30 aprile 2016

La sfida della pazienza



“Dov’è la Mente del Risveglio
di colui che si arrabbia
quando gli altri ricevono qualcosa?”
(Shantideva)

“Un popolare aneddoto che i maestri tibetani amano raccontare ai loro studenti narra l’incontro tra un eremita e un pastore. L’eremita viveva in solitudine sui monti. Un giorno un pastore giunse per caso alla grotta dell’eremita e incuriosito gli chiese: “Cosa fai qui, solo, in questo luogo così remoto?” l’eremita rispose: “Medito.” Allora il pastore gli chiese: “E su che cosa stai meditando?” l’eremita rispose: “Sulla pazienza.”

Ci fu un attimo di silenzio, dopodichè, il pastore decise di andarsene. Fece qualche passo, poi si voltò verso l’eremita e gridò: “Vai al diavolo!” L’eremita gli rispose seccamente: “Che cosa? Ma vacci tu!” Il pastore scoppiò a ridere e ricordò all’eremita che si era appena dimenticato di praticare la pazienza. Questo semplice aneddoto illustra in modo esemplare la sfida fondamentale per colui che voglia esercitare la pazienza: in una situazione che normalmente genera un’esplosione d’ira, come è possibile essere spontanei e rispondere senza perdere la calma? 

La sfida non è rivolta esclusivamente ai praticanti della religione. È una sfida che ognuno di noi affronta nel tentativo di condurre un’esistenze caratterizzata da dignità umana e decoro. Quasi a ogni passo ci troviamo ad affrontare situazioni che mettono alla prova i nostri limiti di pazienza o tolleranza. Spesso, nel nostro nucleo familiare, nell’ambiente di lavoro o nelle normali relazioni con il prossimo, si manifestano i nostri pregiudizi, le nostre convinzioni vacillano e l’immagine che abbiamo di noi è minacciata.

Sono questi i momenti in cui diventa necessario fare appello alle nostre più profonde risorse. Tutto ciò, come direbbe Shantideva, mette alla prova il nostro carattere, rivelando quanto siamo riusciti a sviluppare la nostra capacità di pazienza e tolleranza. L’aneddoto sottolinea inoltre come la pazienza non possa essere sviluppata nell’isolamento: è infatti una qualità che può nascere solo in un contesto di interazione con gli altri, soprattutto altri esseri umani.

La spontanea risposta dell’eremita mostra quanto fosse fragile la sua crescita interiore, come il castello di sabbia di un bambino. Una cosa è abbandonarsi ad appassionati pensieri di tolleranza e compassione nei confronti degli altri nel contesto privo di sfide dell’isolamento, completamente diverso è dare vita a questi ideali nell’interazione quotidiana con persone in carne e ossa.

Con questo non si vuole però sminuire l’importanza della meditazione solitaria. Tali esercizi condotti in solitudine portano a interiorizzare introspezioni che, altrimenti, si fermerebbero al livello di consapevolezza intellettuale. E come le più antiche tradizioni religiose indiane, il buddismo riconosce nella meditazione un elemento chiave del cammino spirituale. Ma resta comunque il fatto che la vera sfida alla pazienza emerge dal contesto dell’interazione con gli altri.

Il terzo aspetto che emerge dal breve incontro tra il nostro eremita e il pastore è che l’autentica pazienza può svilupparsi solo quando si è raggiunta una certa capacità di controllo sulla propria ira. Ovviamente, reagire con una forte esplosione emotiva a un maltrattamento verbale che non si era provocato è una risposta naturale nell’uomo, ma una vera persona spirituale deve essere in grado di superare tali prevedibili reazioni umane. Questo è quanto insegna Shantideva nel capitolo dedicato alla pazienza nella sua “Guida al modo di vivere del bodhisattva.” 

L’ideale del bodhisattva eleva dunque l’umiltà e la sottomissione a principi spirituali? Predica la tolleranza davanti al male?e come si pone nei confronti dell’ira e dell’odio che abbiano una giustificazione? L’ideale del bodhisattva non ci chiede forse l’impossibile, andando contro la reale natura umana? Queste sono solo alcune delle domande che immediatamente si presentano alla mente dei moderni lettori di Shantideva. 

Scritta nell’VIII secolo d. C., l’opera di Shantideva divenne un importante classico del buddismo Mahayana. La leggenda vuole che il monaco Shantideva recitasse l’intero testo improvvisando quando gli fu chiesto di tenere una lezione a una congregazione di monaci alla famosa università monastica indiana di Malanda. Si narra che inizialmente la richiesta della lezione nascesse dal desiderio di umiliare Shantideva che, agli occhi dei suoi confratelli sembrava non fare altro che “mangiare, dormire e defecare.” 

I monaci non si rendevano conto che Shantideva sembrava condurre un’esistenza piuttosto oziosa, ma aveva invece una ricca esperienza interiore e una profonda conoscenza. Gli aneddoti tibetani sulla storia concordano nell’affermare che quando Shantideva arrivò al nono capitolo, quello difficile, quello sulla saggezza, si librò nell’aria e svanì, mentre la sua voce restò perfettamente udibile.” (Geshe Thupten Jinpa)

venerdì 29 aprile 2016

Il sultano in esilio



Si narra che un sultano d’Egitto convocò una riunione di grandi studiosi e, come accade in tutte le situazioni in cui si riuniscono gli eruditi, si scatenò una controversia. L’oggetto della controversia era il Viaggio Notturno del Profeta Maometto di cui si dice che venne trasportato fino alle sfere celesti. In quel lasso di tempo il Profeta vide l’inferno e il paradiso, parlò novantamila volte con Dio e visse molte altre esperienze prima di essere riportato nuovamente nel suo letto. Una brocca di acqua che era caduta mentre spiccava il volo verso il Cielo non si era ancora completamente rovesciata, e il suo letto era rimasto ancora tiepido.

Alcuni dissero che tutto questo era possibile e si spiegava solo se si accettava il fatto che potesse esistere un modo diverso di percepire il tempo, invece il sultano diceva che quel fatto era impossibile. I saggi dicevano che nulla è impossibile per l’onnipotenza divina, ma il sultano continuava a dire di non esserne persuaso. La notizia della diatriba arrivò all’orecchio dello sceicco sufi Shahab-ud-Din che si presentò a corte. Il sultano lo accolse con gli onori che meritava e lo sceicco si affrettò a precisare che era venuto a presentare la sua dimostrazione: “Sappiamo che entrambi le interpretazioni del Viaggio Notturno del Profeta sono errate, però esistono dei modi per provare la veracità delle tradizioni senza dover ricorrere alla speculazione grossolana oppure all’insulsa e limitata logicità.”

Nella sala delle udienze vi erano quattro finestre e lo sceicco guidò il sultano alla prima finestra e lo invitò ad affacciarsi. Il sultano guardò fuori e vide che, dalla montagna vicina, scendeva un esercito nemico che stava marciando verso la sua città per invaderla. Vedendo quella enorme massa di uomini armati che avanzavano verso il suo palazzo, il sultano fu terrorizzato ma lo sceicco lo rassicurò dicendo: “Non fateci caso, non accade nulla!” quindi chiuse la finestra e la riaprì: il sultano vide che fuori non c’era più anima viva.

Quando lo sceicco aprì la seconda finestra, il sultano vide che la città era in preda alle fiamme. Alla vista del disastro, il sultano urlò di terrore ma lo sceicco gli disse: “Vi prego sultano, non dovete affliggervi!” e infatti quando riaprì la finestra, la città era calma e non c’era più alcuna traccia di incendio. La stessa cosa avvenne con la terza finestra da cui il sultano vide l'arrivo di un’enorme ondata che stava sommergendo il palazzo. Ma l’inondazione sparì quando la finestra venne chiusa e poi riaperta. Aprendo l'ultima finestra, il sultano vide al posto del solito deserto che circondava la città, un giardino paradisiaco pieno di alberi, fiori, animali e con splendide fontane che scomparve quando la finestra fu chiusa e riaperta.

A quel punto lo sceicco ordinò che venisse portata una bacinella di acqua e pregò il sultano di immergervi la testa. Il sultano immerse la testa nell’acqua e poi riemerse... e si ritrovò da solo, mezzo nudo e abbandonato in un posto che non conosceva. Si rese conto che era caduto vittima della perfida magia del malvagio sceicco. Sentì salire dentro una grande rabbia, infatti giurò di vendicarsi alla prima occasione. Poco dopo incontrò due boscaioli che venivano dalla città che gli chiesero chi fosse. Il sultano non poteva rivelare la sua vera identità perciò rispose che era un mercante naufragato sulla spiaggia.

I boscaioli gli diedero dei miseri abiti e delle indicazioni per arrivare in città. Allorché fu arrivato in città, il sultano fu notato da un fabbro che lo aveva visto mentre vagava smarrito. Il fabbro gli chiese chi fosse e da dove venisse. Il sultano gli rispose che era un mercante sfuggito al naufragio della sua nave: “Sono scampato dalla morte per miracolo e devo ciò che indosso alla pietà di due poveri boscaioli, perciò sono un uomo senza risorse.” Il fabbro gli rivelò che in quella città c’era l’usanza che un forestiero doveva chiedere in moglie la prima donna non sposata che avrebbe visto uscire dai bagni e che lei avrebbe dovuto accettare.

Il sultano andò ai bagni dove vide una bella giovane a cui chiese se era sposata, ma lei gli rispose che lo era. La stessa domanda fu rivolta alla seconda donna che uscì dai bagni e che era molto più brutta. Per fortuna anche lei gli rispose che aveva un marito così come fece anche una terza donna. Alla fine, dai bagni uscì una quarta donna che era una fanciulla veramente molto bella. Alla domanda, la bella fanciulla rispose che non era sposata, ma che lo rifiutava ugualmente perché era disgustata dal suo misero aspetto. In quel momento arrivò un messaggero che disse al sultano: “Sono incaricato di cercare un uomo vestito di miseri stracci. Vi prego di seguirmi.”

Il sultano fu condotto in una splendida dimora dove venne lavato e rivestito con abiti sontuosi adatti al suo vero rango. Poi fu lasciato ad aspettare per ore e ore in una sala sontuosa, finché giunsero quattro giovani e belle ragazze che precedevano la fanciulla deliziosa che il sultano riconobbe come la bella e giovane donna che lo aveva rifiutato. La donna gli diede il benvenuto e gli rivelò che lo aveva rifiutato perché quello era l’atteggiamento che doveva tenere in pubblico una donna onorata. Invece, in privato, poteva accettare la sua proposta di matrimonio perciò gli offriva un sontuoso banchetto che venne allietato da una musica delicata.

Fu così che il sultano passò sette anni con la sua sposa, che ebbe dei figli e che visse sontuosamente dilapidando il patrimonio della donna. Allora la moglie gli disse che doveva trovare il modo di provvedere a lei e ai loro figli, perciò il sultano pensò di farsi consigliare dal primo amico che aveva incontrato entrando in città cioè il fabbro. Considerato che il sultano non aveva né mestiere, né esperienza in nessun tipo di lavoro, il fabbro gli consigliò di offrirsi come facchino nella piazza del mercato. Ma, benché portasse pacchi enormi per tutto il giorno, il sultano non riusciva neppure a ricavare il necessario per sfamare la sua famiglia.

Un giorno il sultano ritornò alla spiaggia dove si era ritrovato sette anni prima. Tornò nel punto preciso in cui si era trovato, e decise di recitare in quel luogo le preghiere. Iniziò a fare le sue abluzioni e all’improvviso, un colpo di scena, emerse dall’acqua e... si ritrovò nel salone del suo palazzo. Si guardò intorno e vide i suoi cortigiani che lo guardavano, poi vide lo sceicco e anche la bacinella. Allora gridò furioso: “Sette anni in esilio, demone immondo! Sette anni in cui ho avuto moglie, famiglia e sono stato costretto a sgobbare come facchino al mercato! Non temi Dio Onnipotente per il torto che mi hai fatto?”

Lo sceicco era tranquillo e gli rispose: “Ma non sono passati che pochi secondi da quando avete lavato la testa!” e anche i cortigiani gli confermarono quello che diceva il sufi. Ma il sultano non riusciva a credere a quella versione della storia e stava per dare l’ordine di decapitare lo sceicco. Ma lo sceicco aveva percepito interiormente quello che il sultano voleva fargli e usò la Scienza dell’Assenza. Il potere di quella Scienza gli permise di trasportarsi fisicamente a Damasco, a molti giorni dal palazzo e dall'ira del sultano. Da quella città gli scrisse una lettera che diceva:

“Per voi sono passati sette anni, come avrete capito, dall’istante in cui avete messo la testa nell’acqua. Tutto quello che avete vissuto è il frutto dell’esercizio di alcune facoltà che non hanno nessun significato se non quello di offrire la dimostrazione che ero venuto a dare. Volevo dimostrare ciò che può accadere. Non era forse caldo il letto e la brocca non rovesciata, secondo la tradizione? Quello che conta non è che il fatto sia avvenuto, perché tutto può avvenire: ciò che conta è il significato che diamo all’evento. Nel vostro caso non c’è stato alcun significato, invece nel caso del Profeta l’evento ha avuto un enorme significato.”

Buona erranza
Sharatan

mercoledì 20 aprile 2016

Nel mio cuore



"Com’è facile distruggere la cosa che amiamo! Con quale rapidità si leva tra noi una barriera, basta una parola, un gesto, un sorriso! Salute, umore e desiderio gettano un’ombra e quello che era luminoso diventa tedioso e monotono. Attraverso l’usura noi ci logoriamo e quello che era netto e limpido diviene ottuso, confuso. Attraverso la continua frizione, la speranza e la frustrazione, quello che era bello e semplice diventa pauroso ed esigente.

I rapporti umani sono complessi e difficili e ben pochi sono coloro che possano uscirne indenni. Sebbene ci piacciano stabili, durevoli, continui, i rapporti umani sono un movimento, un processo che va pienamente e profondamente compreso e non costretto a uniformarsi ad uno schema intimo o esteriore. La conformità, che è la struttura sociale, perde il suo peso e la sua autorità soltanto quando vi sia amore.

L’amore nei rapporti umani è un processo di purificazione poiché rivela i modi dell’io. Senza questa rivelazione, i rapporti umani hanno ben poco significato. Ma come ci dibattiamo contro questa rivelazione! La nostra lotta contro la rivelazione assume varie forme: dominio o subordinazione, timore o speranza, gelosia o accettazione, e così via, interminabilmente. La difficoltà sta nel fatto che noi non amiamo; e se amiamo, vogliamo che la cosa avvenga in un certo modo, non diamo all’amore, libertà.

Noi amiamo con la mente e non col cuore. La mente può modificare se stessa, ma il cuore non può. La mente può rendere se stessa invulnerabile, ma l’amore non può; la mente può sempre ritirarsi, escludersi, diventar personale o impersonale. L’amore non può essere misurato, cintato. La difficoltà sta in quello che noi chiamiamo amore, che è in realtà un prodotto della mente. Noi riempiamo i nostri cuori delle cose della mente e così abbiamo il cuore sempre vuoto e in attesa.

È la mente che ci afferra, che è invidiosa, che tiene e distrugge. La nostra vita è dominata dai centri fisici e dalla mente. Noi non amiamo e ce ne stiamo in pace, ma aneliamo ad essere amati; diamo per ricevere, che è la generosità della mente e non del cuore. La mente è sempre in cerca di sicurezza, di certezza; e come può l’amore essere fatto certo dalla mente? Può la mente, la cui essenza medesima è del tempo, cogliere l’amore, che è la sua propria eternità?

Ma anche l’amore del cuore ha i suoi inganni; perché abbiamo così corrotto il nostro cuore da renderlo esitante e confuso. È ciò che rende la nostra vita così dolorosa e logorante. Un istante crediamo di avere l’amore e l’istante dopo l’abbiamo perduto. Ne deriva una forza imponderabile, non della mente, le cui fonti possono non essere sondate. Questa forza è ancora distrutta dalla mente; perché in questa battaglia la mente sembra invariabilmente essere vittoriosa.

Questo conflitto entro di noi non può essere risolto da una mente scaltra o da un cuore esitante. Non vi sono mezzi, non c’è modo di porre fine a questo conflitto. La stessa ricerca di un mezzo è un altro impulso della mente d’essere signora incontrastata, di riporre il conflitto per stare in pace, per avere amore, per divenire qualche cosa.

La nostra maggior difficoltà è di essere ampiamente e profondamente consapevoli che non c’è nessun mezzo di amare come fine desiderabile della mente. Quando si sia compreso ciò realmente e profondamente, allora ci sarà una possibilità di ricevere qualche cosa che non è di questo mondo. Senza il tocco di questo qualcosa. fate pure tutto quello che volete, non ci sarà felicità durevole nei vostri rapporti. Se voi avrete ricevuto quella benedizione e io no, naturalmente voi ed io saremo in conflitto.

Potrà darsi che voi non lo siate, ma io lo sarò: e nel mio dolore e nella mia pena io mi apparterò. Il dolore è esclusivo come la gioia, e a meno che non vi sia quell’amore che non è di mia creazione, i rapporti saranno dolore. Se c’è la benedizione di quell’amore, non potrete che amarmi, qualunque cosa io possa essere, perché allora non foggerete l’amore secondo la mia condotta.

Qualunque inganno la mente possa tramare, voi ed io siamo separati. Sebbene si possa essere in reciproco contatto in alcuni punti, l’integrazione non è in voi, ma entro me stesso. Questa integrazione non è data dalla mente in nessun istante; viene in essere solo quando la mente è nel massimo silenzio, avendo raggiunto i limiti del proprio raggio d’azione. Soltanto allora non ci sarà dolore nei rapporti umani." (Jiddu Krishnamurti)

domenica 17 aprile 2016

Come mille lampade



“Lo Stato di Buddha è presente in noi.
L’essenza è illuminata sin dal principio,
tuttavia è oscurata temporaneamente.”
(Tulku Urgyen Rinpoche)

Il grande maestro buddista tibetano, Tulku Urgyen Rinpoche, diceva che “tutti i buddha sono come mille lumi a burro in una stanza: le fiamme sono diverse, ma la loro luce è una. Quando si realizza lo stato del Dharmakaya, c’è una sola identità che possiede la luce di mille lumi a burro.” Urgyen Rinpoche dice che la realizzazione non ha senso se non si persegue la finalità di essere come una lampada che risplende con la luce di mille lampade. Dice che in questo eone devono comparire mille buddha perché, per essere percepito dagli esseri ordinari e anche dagli animali, un buddha si deve manifestare come essere umano e vivere in un corpo fatto di carne.

Gli esseri umani vagano nel Samsara perché non sanno che la loro mente, nella sua essenza, è uguale a quella di tutti i buddha. L’unica differenza che esiste tra uomo ordinario e buddha è che il buddha ha riconosciuto la sua natura fin dall’inizio, mentre l’uomo ordinario è oscurato dall'ignoranza. Ma gli esseri senzienti soffrono di un oscuramento che è temporaneo, perché possiamo essere condotti a riconoscere la nostra vera natura. La differenza tra un buddha e un essere senziente ordinario è la stessa differenza che esiste tra la comprensione e la non-comprensione.

Comprensione significa comprendere la propria vera natura, il proprio volto originario, invece la mancanza di comprensione equivale al Samsara. Questo insegnamento è molto prezioso e lo dobbiamo alla compassione del Buddha, dice Urgyen Rinpoche. Il Buddha è un essere che si è liberato e ha rinunciato alla condizione di maggiore evoluzione e libertà per restare a guidare gli uomini verso il riconoscimento della loro vera natura. Il Buddha ha dimostrato di avere conseguito il massimo grado di realizzazione e di evoluzione perché è riuscito a sacrificare una parte della sua beatitudine per aiutare tutti gli esseri senzienti.

Questo fatto è una verità che riguarda l’evoluzione dell’uomo comune come di quello che avanza verso livelli di perfezione sempre maggiori. E questo concetto lo comprendiamo bene solo se sappiamo che il massimo grado dell’evoluzione è quello in cui sappiamo sacrificare quello che abbiamo già piuttosto che quello in cui sappiamo soltanto prendere dagli altri. Steiner ci spiega meglio il concetto dicendo che l’evoluzione avviene per mezzo di una continua trasformazione del corpo astrale in Sé spirituale, del corpo eterico in Spirito vitale e del corpo fisico in Uomo spirito.

La sapienza originaria insegna che l’uomo trasforma continuamente il suo corpo astrale in modo che quel corpo avrà una parte fatta della vecchia sostanza astrale e l’altra parte sarà il Sé spirituale che ha iniziato a fare il suo sviluppo. E, poco a poco, questa trasformazione continua proseguendo di vita in vita. Tutti gli esseri ordinari sono a questo stadio, perciò accade che la parte del corpo astrale che non abbiamo saputo trasformare siamo costretti a lasciarlo dopo la nostra morte.

Quello che non possiamo trasformare è quello che l’io non ha sentito come suo, che non ha percepito come qualcosa che facesse parte di se stesso. Quello che non ha suscitato i nostri sentimenti interiori non possiamo tenercelo perciò, dopo la morte, dobbiamo abbandonarlo. Al momento della morte dobbiamo lasciare tutto ciò che non è stato mai nostro, perciò lasciamo tutto quello che non ha ricevuto un senso interiore. E questi contenuti che vengono abbandonati diventano i “residui” ossia diventano dei “gusci astrali” che sono lasciati e che vengono abbandonati come relitti nel Kamaloka, cioè nel cielo delle passioni.

I gusci astrali che vengono abbandonati, con il tempo, sono destinati a disperdersi nell'astrale. Ma la dispersione di gusci astrali che sono pieni di cattivi pensieri e sentimenti negativi causerà dei disturbi e degli inquinamenti nel mondo astrale. Infatti l’uomo può riportare con sé tutto quello che è riuscito a elaborare al suo interno perciò lascerà sempre meno residui nel mondo astrale. E questo si capisce solo se guardiamo al fenomeno dei residui che ci lasciamo dietro dopo la morte. 

E quando il corpo astrale viene elaborato, prende una nuova forma cioè si forma il Sé spirituale e s'imprime sul corpo eterico che prende la forma del corpo astrale perfezionato. E non è detto che il perfezionamento si sia concluso perché è sufficiente che il processo si sia avviato fino al punto che il corpo astrale abbia la forza per imprimere la sua forma sul corpo eterico. In questo modo si deve pensare il lavoro in cui è impegnata la creatura evoluta che ha sviluppato completamente il Sé spirituale. Essa, nella dottrina orientale, ha sviluppato la condizione che viene chiamata “Nirmana-kaya” perché ha raggiunto la capacità di conservare la coscienza e la forma che ebbe in passato. 

Il Nirmana-kaya è il corpo di perfezione perché il kaya astrale dell'entità è così perfezionato da non lasciare residui. E il lavoro può essere continuato e si può trasformare il corpo eterico e il corpo fisico, ma cosa avverrà quando tutto questo sarà accaduto? Quando il corpo eterico si trasforma arriva a contenere non solo il Sé spirituale nel suo corpo astrale, ma avrà anche lo Spirito vitale che si sta sviluppando lentamente nel suo corpo eterico. Allora lo Spirito vitale avrà ricevuto la forza necessaria per imprimersi sul corpo fisico, perciò avremo raggiunto un gradino intermedio.

E una volta che avremo raggiunto il gradino intermedio vedremo che saremo giunti nel punto in cui si può non lasciare indietro nulla di ciò che vogliamo conservare. E il progresso che abbiamo raggiunto riguarda anche il corpo eterico perché esso può conservare la forma che gli fu impressa quando siamo diventati uno Spirito vitale. Le dottrine orientali dicono che, per mezzo di questi fatti occulti, l’uomo diventa sempre più il padrone del suo corpo astrale e del suo corpo eterico. Il dominio che sapremo raggiungere su questi corpi sottili ci consentirà di continuare a controllarli, in una qualche maniera, anche in futuro.

Chi ha raggiunto questo livello evolutivo può disporre a suo piacere di quel corpo eterico e di quel corpo astrale. Perciò, quando deve tornare a incarnarsi, egli può scegliere e crearsi nuovi involucri con la sostanza eterica e astrale che già possiede. Costui può ritornare dopo essersi plasmato, a suo piacere, degli involucri eterici e astrali perfetti come quelli che aveva in passato. A questo essere perfezionato non verrà imposta una forma fisica, eterica o astrale ma egli potrà avere la forma e tutto ciò che aveva in passato.

Una volta che avremo raggiunto questo grado di sviluppo saremo in grado di sacrificare qualcosa di noi stessi per darlo agli altri, perciò saremo in grado di sacrificare il nostro corpo eterico e astrale trasferendoli ad altri. Perciò vediamo che un’entità può dominare, donare e sacrificare i suoi corpi allorché avrà imparato a costruire i suoi corpi. E quando dovrà ritornare sulla Terra potrà costruirsi altri corpi, e la perfezione che avrà raggiunto verrà trasmessa ad altre personalità che devono svolgere una missione nel mondo.

Vediamo allora che i corpi eterici e astrali dei grandi maestri del passato possono intrecciarsi nelle persone di altri maestri che vennero dopo. E comprendiamo perché si dice che le azioni dei grandi non muoiono mai e che agiscono anche nel presente vivendo in altre persone, così che il passato aiuta a tracciare il futuro. Nell'induismo si dice che coloro che hanno saputo costruire un corpo, un kaya, che sa agire nel presente e nel suo tempo, ma sanno fare qualcosa che dà i frutti in futuro ha costruito un Dharma-kaya, ossia il Corpo che segue la legge, perché la legge che riguarda il futuro è detta “Dharma.” 

Molti maestri dicono che anche gli Dei sono stati uomini, infatti le entità più evolute furono ad un livello simile al nostro durante le passate incarnazioni. L’uomo che vuole evolversi deve fare lo stesso percorso evolutivo, perciò il primo gradino superiore al livello dell’essere umano è quello degli Angeli che diverremo quando saremo diventati Buddha umani. Da questo gradino si ascenderà a quello degli Arcangeli che diverremo quando saremo diventati dei Bodhi-Sattva. E poi ascenderemo agli Spiriti della Personalità che raggiungeremo quando saremo diventati Dhyani-Buddha.

Ma il punto da cui inizia a mostrarsi la capacità di sacrificarsi è l'eccelsa gerarchia dei Troni. Questo gradino mostra lo sviluppo che hanno raggiunto di spiriti che devono guidare interi popoli o intere razze. Queste entità devono fare in modo di evolversi in modo tale che, da loro, possa emanare sempre qualcosa da donare agli altri. Secondo Steiner furono i Troni che emanarono la loro essenza durante la creazione e che, in alcune fasi dell’evoluzione, hanno offerto il loro Nirmana-kaya per animare alcune personalità elevate che vennero per continuare un percorso già iniziato da altri.

Costoro non avrebbero potuto fare la loro missione senza l’aiuto di queste entità elevate. L'atto di sacrificarsi è tipico di entità che hanno uno sviluppo elevato, infatti solo gli esseri evoluti sanno donarsi agli altri. L'atto di donare se stessi equivale all'emanare verso l'esterno che dimostra la trasformazione da creatura a Creatore. Il fenomeno evolutivo non è altro che questo continuo ripetersi di cicli e di scale evolutive in cui vediamo che alcuni aprono le strade e altri seguano le loro orme. Alcuni, a volte, restano indietro perché sono incapaci di andare più veloci, perciò ricevono un aiuto per andare avanti ma sappiamo che, alla fine, saremo tutti esseri illuminati, liberi, elevati e perfetti.

Buona erranza
Sharatan

martedì 12 aprile 2016

Ispirati dall'Alto



“La musica del mare si ferma sulla riva
o nel cuore dell’uomo che l’ascolta?”
(Kahlil Gibran)

Steiner dice che le gerarchie spirituali più vicine agli uomini sono quelle degli Angeli, degli Arcangeli e delle Archai ossia degli Spiriti della Personalità, perché sono le gerarchie angeliche che hanno influito maggiormente sull’evoluzione dell’umanità. L’uomo è una creatura che ha ricevuto dalla Terra un involucro solido, perciò il fatto di essere rinchiusi in un corpo solido fatto di carne e di sangue ci consente di essere composti di un corpo fisico, di un corpo eterico e di un corpo astrale che possono ospitare l’io.

Ma l’uomo non è una creatura antica perché la capacità di poter strutturare l’individualità definita come un “io” si è resa possibile solo dopo l’epoca di Atlantide. Nei tempi precedenti all'epoca di Atlantide cioè nell’epoca della civiltà di Lemuria, l’uomo non aveva ancora strutturato l’io. La capacità di articolare il concetto dell’”Io sono” si è resa possibile solo nel periodo post-atlantico, perchè l’uomo dell’epoca lemurica era molto diverso da quello di Atlantide.

Gli uomini dell'antica Lemuria, afferma Steiner, avevano solo corpo fisico, corpo eterico e corpo astrale, perciò non avevano l'io quindi non potevano pensare in autonomia e non potevano usare la volontà. Gli esseri umani di quei tempi vanno immaginati come degli uomini molto incerti e disorienti che andavano consigliati e guidati, perciò gli spiriti delle gerarchie spirituali scendevano a guidare le nazioni ispirando i sovrani-sacerdoti di quei tempi.

A questo riguardo Steiner dice che, nell'epoca di Lemuria scesero soprattutto gli spiriti della gerarchia degli Archai che vennero a “irradiare e vivificare il corpo fisico” di alcuni uomini della Terra. Gli uomini che vennero “vivificati e irradiati” non avevano un corpo fisico come quello degli altri uomini, perché il loro corpo veniva “potenziato” dal vigore e dell’ispirazione degli Spiriti della Personalità.

E, la forza e il carisma che quei personaggi irradiavano era enorme, venivano circondati da un rispetto, da una venerazione e da un’obbedienza che non possiamo neppure immaginare. A quel tempo vivevano uomini che, solo in apparenza, sembrano come gli altri. In realtà, questi uomini ospitano delle potentissime “personalità spirituali” che li trasformarono in guide di popoli. Questi grandi sovrani-sacerdoti potevano guidare i loro popoli perché venivano ispirati dagli spiriti delle gerarchie superiori, perciò vediamo che l’evoluzione umana ha ricevuto l’aiuto di queste gerarchie.

In seguito si rese necessario l’intervento degli Arcangeli, e questo fatto avvenne al tempo di Atlantide quando gli Arcangeli vennero a “irradiare e vivificare” il corpo fisico e il corpo eterico di alcuni uomini di Atlantide. Se i popoli dell’antica Lemuria erano guidati dagli Spiriti della Personalità, quelli di Atlantide vennero guidati dagli Arcangeli. Infatti, tra i re-sacerdoti di Atlantide vissero degli uomini che portavano in loro degli Arcangeli, dice Steiner, perciò quei re-sacerdoti erano solo apparentemente degli uomini “normali.”

Infatti le sedi dei misteri di Atlantide vennero definite “oracolari” perché in quei luoghi sacri avvenivano le rivelazioni dei grandi maestri e dei sacerdoti che venivano ispirati ossia "posseduti" dalle gerarchie dei mondi superiori. Queste rispettate figure di sovrani e di guide spirituali erano personalità “doppie” perché dietro l’uomo fisico visibile si celava la figura dell’Arcangelo che lo ispirava e lo indirizzava verso le vie indicate dalle entità celesti.

Quando morivano gli uomini che avevano ospitato queste entità, il loro corpo fisico si distruggeva ma non si dissolveva il loro corpo eterico come accade alle persone normali. Nell’uomo ordinario, il corpo eterico si dissolve tranne che un piccolo estratto, ma questo accade solo alle persone comuni, perché è diverso per questi illuminati. Infatti, il corpo eterico di queste persone eccezionali si conserva integro nel mondo spirituale, perché i corpi eterici che sono usati da spiriti così elevati divennero incorruttibili.

Fu così che si poterono conservare i 7 corpi eterici delle 7 grandi guide dell’umanità. A causa della distruzione di Atlantide, il Manu, l’iniziato dell’oracolo solare, guidò la grande migrazione dei superstiti di Atlantide in fuga verso le regioni dell’Asia. Quando i fuggiaschi giunsero in Asia, il Manu scelte sette uomini saggi di razza indiana e usò i sette corpi eterici resi incorruttibili conservati nel mondo spirituale per plasmare quelli che sono conosciuti come i 7 Sacri Rishi. Quei veggenti erano persone che - solo in apparenza - sembravano persone semplici.

Quegli uomini sembravano delle persone umili, perché il loro corpo astrale e l’io non si erano ancora strutturati in modo solido. Non essendosi formato un Io solido, in loro agiva solo il corpo eterico che sentiva l’influsso delle ispirazioni celesti. L’ispirazione che discendeva dalle gerarchie celesti non agiva attraverso il loro io perciò quei veggenti erano persone umili che potevano rivelare dei segreti sublimi senza sentirsi altro che strumenti della Divinità.

Quando essi venivano ispirati, diventavano un “canale” in cui scorreva il fiume dei più grandi misteri del cosmo. L’uomo di quei tempi non aveva l’io perciò non poteva essere autonomo, e si rendeva necessario che fosse guidato. A causa dell'immaturità dell'uomo anche la civiltà post-atlantica vide persone che venivano guidate dagli Angeli che “parlavano attraverso di loro.” Infatti vediamo che quegli ispirati conoscevano molte cose compreso le loro esistenze passate. L’uomo comune non può conoscerle, perché non ha ancora maturato il sé spirituale perciò non è ancora diventato un Angelo.

Nelle personalità della civiltà post-atlantica agivano degli Angeli, ma in tutti i periodi vivono delle persone che ricevono gli influssi di esseri spirituali molto elevati. Nelle dottrine orientali troviamo questi concetti infatti viene chiamato “Dhyani-Buddha” l'uomo che porta in sé, nel suo corpo fisico, uno Spirito della Personalità. Invece l’uomo che porta nel suo corpo fisico e nel suo corpo eterico, un Arcangelo viene chiamato “Boddhi-Sattva.” E l'uomo che porta nel suo corpo fisico, nel suo corpo eterico e nel suo corpo astrale un Angelo è chiamato “Buddha umano.”

Questa è la vera dottrina dei Buddha, dice Steiner, e questa è la classificazione dovuta al rapporto che l’uomo ha saputo intrecciare con le gerarchie spirituali più elevate. Per mezzo dell’uomo risvegliato, queste gerarchie di spiriti superiori hanno potuto trasmettere la Conoscenza Divina. Questi sono alcuni concetti provenienti dalla saggezza originaria, perciò quando sentiremo parlare del “Buddha” sapremo che non si parla di uno solo, ma di molti esseri illuminati che giunsero a raggiungere vari gradi di perfezione.

E se potessimo guardare un Buddha che cammina sulla Terra potremo pensare che dietro di lui ci possa essere l’ispirazione di un Dhyani-Buddha o anche quella di un Boddhi-Sattva. Per immaginare questo, non è necessario vedere quelle entità, perciò possiamo immaginare che un Dhyani-Buddha o un Boddhi-Sattva non è necessario che discenda fino al livello di corpo fisico. Allora possiamo immaginare anche un’entità elevata che non si rende visibile fisicamente, ma che è visibile solo a livello eterico.

In effetti sappiamo che, in passato ci furono dei Boddhi-Sattva che rimasero invisibili, e ci furono anche dei Boddhi-Sattva che rimasero invisibili ma questo non gli impedì di essere gli ispiratori di Buddha umani. Inoltre, in alcune epoche, non nasce un numero adeguato di grandi uomini perciò le persone adeguate a ospitare delle entità elevate non sono molte. A causa di questa carenza è possibile che una sola personalità sia ispirata da un Angelo e anche da un Arcangelo.

Buona erranza
Sharatan

domenica 10 aprile 2016

Gerarchie angeliche



“L’ordine stesso stabilito dal divino Legislatore
ci fa apprendere che per mezzo di esseri
gerarchicamente superiori gli esseri inferiori
si elevino spiritualmente verso il divino.”
(Pseudo Dionigi)

Può sembrare anacronistico parlare di esseri impalpabili come gli Angeli in un’epoca materialistica come la nostra, ma non è così. Il nome “angelo” proviene dal greco “anghelos” che traduce in modo impreciso l’ebraico “mal’akh” che designa un personaggio che svolge una serie di compiti diversi come il messaggero o l'inviato per conto di qualcun altro. Questo ruolo può essere svolto in modo occasionale come nel caso di guidare un viaggio, vincere un esercito nemico o annunciare un evento.

Ma il ruolo può essere anche permanente come nel caso di vegliare su di un astro o quello di assistere una nazione. Quando si pensa agli Angeli immaginiamo l’Angelo Custode dell'infanzia o poco più senza immaginare che molte entità spirituali diverse ci sono vicine. Steiner dice che tutta la vita materiale nasce da una dimensione superiore a quella tridimensionale di cui siamo consapevoli. Ogni cosa del regno terrestre viene governata da una fonte d’intelligenza che risiede in vari ordini della gerarchia divina.

Perciò dobbiamo immaginare delle gerarchie celesti disposte in vari ordini o categorie che vanno in senso ascendente e in senso discendente. Perciò pensiamo a dei livelli gerarchici che sono impegnati a svolgere funzioni diverse. Il livello degli Angeli è il più vicino agli uomini, ma la maggioranza non è consapevole della loro influenza nella nostra vita. I mistici affermano l’esistenza di vari livelli di coscienza superiori a quello ordinario, e il matematico, fisico, biologo e veggente Emanuel Swedenborg disse di aver fatto molti viaggi nei regni celesti superiori e inferiori.

L’esperienza dei viaggi descritta in “Cielo e Inferno” contiene la conclusione che lo scopo finale delle anime umane è quello di raggiungere l’unione con Dio per mezzo dell’amore e della saggezza. Swedenborg dice che la sapienza terrestre non è altro che l’ombra della saggezza che esiste nei mondi spirituali. La saggezza degli Angeli non può essere descritta a parole perché essi possono esprimere con una sola parola, interi patrimoni di conoscenza umana. 

La saggezza degli Angeli supera la nostra, perché ogni parola degli Angeli contiene arcani di saggezza “in connessione continua che le conoscenze umane non raggiungono mai.” Ma neppure gli esseri delle gerarchie celesti più elevate sono nati già perfetti perché anche loro hanno conquistato la loro condizione con un perfezionamento conseguito con il tempo, in un lontano passato evolutivo. Sia gli Angeli che gli Arcangeli hanno vissuto uno stadio umano nelle precedenti incarnazioni affrontate dal nostro pianeta, perciò oggi essi si trovano su un gradino superiore a quello dell’uomo. 

Ma per capire il ruolo che essi svolgono dobbiamo considerare l’evoluzione dell’uomo sulla Terra, dice Steiner. L’evoluzione umana avviene attraverso varie incarnazioni e questo avverrà ancora per molto tempo. Poi l’evoluzione proseguirà in altre forme, perché l’individualità umana non finisce di evolvere con l'incarnazione attuale della Terra. 

Attualmente non ricordiamo le nostre incarnazioni passate tranne pochi uomini molto evoluti che le conoscono. Per questo, l’individualità umana che sta evolvendosi è unita ad alcuni esseri spirituali che devono vegliare su l’entità durante le sue incarnazioni. Queste entità possiedono una maggiore evoluzione dell’uomo, perché sono esseri risvegliati che conservano la memoria del singolo uomo attraverso le sue incarnazioni. 

Questo è il motivo per cui l’uomo viene guidato dagli Angeli che hanno il compito di sorvegliare il filo che s’intesse per l’entità attraverso le varie incarnazioni che dovrà vivere, dice Steiner. Ma non viene seguita solo la vita del singolo uomo ma anche l’evoluzione di interi popoli o razze. A svolgere questo compito sono deputati gli Arcangeli che sono gli Spiriti del Fuoco che devono armonizzare l’anima del singolo con quella del suo popolo. 

Attualmente il compito degli Arcangeli è armonizzare l’anima del singolo con quella del popolo e della razza di cui il singolo fa parte. Quello che viene chiamato lo spirito di un popolo non è solo un concetto astratto ma è una realtà spirituale, perché l’anima del popolo è espressa da un Arcangelo. Se saliamo nella scala gerarchica degli esseri spirituali troviamo gli esseri elevati che sono chiamati gli Spiriti della personalità, cioè le Forze Primordiali chiamate anche Archai.

Gli Archai sono delle entità spirituali ancora più elevate che regolano le condizioni dell’intero genere umano. Essi vivono nel tempo e attraverso le varie epoche perché sanno modificandosi, infatti possono assumere un diverso corpo spirituale, dice Steiner. Gli Spiriti del tempo sono collegati con la missione delle varie epoche umane, perciò vanno oltre ciò che riguarda l’individualità e la singola razza. 

Questo avviene perché uno spirito del tempo non viene mai collegato con una realtà limitata ma deve soprintendere a tutto quello che riguarda il destino dei vari popoli. A queste entità va il merito che, in un certo tempo, nascano delle personalità precise. La Terra ha bisogno di personalità adatte per certe età, perciò gli Archai provvedono al fatto che nasca la personalità adatta a consentire l'evoluzione del pianeta. E se guardiamo l’ordine spirituale superiore vediamo gli Spiriti della Forma cioè le Potestà o Exusiai. 

Ma questo livello angelico non agisce sull’evoluzione attuale ma agirà in futuro, quando l’uomo avrà un’evoluzione che sarà svincolata da quella della Terra. Ecco che, e solo allora, entreranno in gioco gli Spiriti della Forma o Potestà che dovranno condurre l’uomo verso una nuova forma. Gli uomini vivono ancora sulla Terra ma se vogliono superare la condizione terrestre devono avere degli esseri spirituali più elevati che scendano sulla Terra per guidare l’umanità. 

I Buddha ed i Bodhisattva sono delle entità spirituali molto elevate che sembrano uomini, ma sono qualcosa molto superiore. Se vogliamo conoscere le gerarchie che sono al di sopra dell’uomo e che ci aiutano ad evolvere dobbiamo ricordare che l’uomo è composto da quattro parti. Dobbiamo ricordare che abbiamo un corpo fisco, un corpo eterico, un corpo astrale e l'io. L’evoluzione umana procede in modo che possiamo elaborare il corpo astrale a partire dall’io. 

E, se lo facciamo, possiamo chiamare manas o sé spirituale quello che riusciamo a elaborare in modo che questa parte sia sottoposta al dominio dell’io. Il manas o Sé spirituale viene prodotto dalla trasformazione del corpo astrale, perciò acquisiamo anche la quinta componente. Pensiamo di saper sviluppare lo Spirito Vitale dal corpo eterico che sarà trasformato e in modo analogo, pensiamo che dal corpo fisico trasformato si riesca a sviluppare l’Uomo Spirito. 

Ma sappiamo che questo lo faremo in futuro, perché avverrà dopo che avremo attraversato gli stadi di Giove, di Venere e di Vulcano. Nell’evoluzione di Vulcano vedremo che l’uomo sarà composto da sette principi che saranno tutt’uno, e tutti uno nell’altro. Ma questo sviluppo vale solo per gli uomini perché non accade così per gli Angeli. 

L’Angelo ha evoluto il corpo fisico, il corpo eterico e il corpo astrale in modo da formare un’unità, perciò l’Angelo ha sviluppato solo il suo Sé Spirituale. L’Angelo non possiede un io come vediamo che avviene per l’uomo perciò il corpo fisico dell'Angelo, sulla Terra, è solo il riflesso dei suoi principi spirituali che restano visibili solo nel mondo spirituale. Ma per l’uomo è difficile immaginare che un corpo possa non essere racchiuso in uno spazio chiuso e delimitato, perciò l’uomo non sa vedere lo spirituale che si nasconde in tutto quello che lo circonda. 

Occorre essere chiaroveggenti per saper vedere l’io e il sé spirituale degli Angeli che, dal mondo astrale, ci osservano. L’essere degli Angeli va ricercato nell’intero sistema solare, e lo spazio in cui dobbiamo guardare per vedere gli Angeli, deve arrivare fino alla regione della Luna. Ma anche nell’acqua, nell’aria e nel fuoco, secondo Steiner, possiamo trovare il corpo eterico e quello astrale degli Angeli. 

Per questo motivo, se vogliamo osservare l’entità animico-spirituale degli Angeli dobbiamo cercare nel mondo astrale, ma dobbiamo guardare con la visuale del chiaroveggente. Per gli Arcangeli accade una cosa ancora diversa, perché dobbiamo cercare nel mondo astrale con la chiaroveggenza e così vedremo che in quei mondi è restato sia il loro corpo astrale che il loro corpo eterico.

Arrivando a osservare gli Archai vedremo la loro manifestazione fisica, ma tutto il resto del loro essere lo troveremo nel mondo spirituale. Tutte queste elevate entità spirituali sono sempre state molto vicine all’uomo, e sono intervenute varie volte nell’evoluzione. In passato, molti re-sacerdoti, molte guide e molti maestri spirituali furono degli Arcangeli che si incarnarono per guidare il genere umano nella sua evoluzione.

Buona erranza
Sharatan

giovedì 7 aprile 2016

Il sistema del male



“Sei tu stesso il tuo avversario,
la causa ripetuta dei tuoi fallimenti.
C’è un mondo oscuro, che non conosci.
Affrontalo con armi di luce.”
(Dugpa Rimpoce)

“Osserva, in te e attorno a te, a che punto i pensieri, le parole e gli atti sono pregni di avidità, di aggressività, di orgoglio, di invidia e di illusione. Il male, ovvero l’aggressione, si dispiega solo perché siamo deboli, demoralizzati, divisi contro noi stessi.

Il male separa l’anima dalla sua sorgente, la isola, la divide contro se stessa e la oppone alle altre anime. Il male è questa separazione. In preda ai rapporti di forza, di dominazione, di sottomissione, di predazione, d’aggressione, le anime terrorizzate dimenticano la loro identità e riescono ancora meno a riconoscersi reciprocamente.

In alcuni gruppi di esseri umani, quasi tutte le relazioni sono strumentali: essere manipolati, manipolare, far “agire” l’altro, ottenere qualcosa da lui. Non si comunica, non ci si esprime. Tutto ciò che si dice ha un fine. L’affare del secolo consiste nel prendere potere o nel dominare, da un lato, mentre si è dominati dall’altro.

In questi ambienti patologici i rapporti tra le persone somigliano a interazioni tra ingranaggi, cinghie di trasmissione, alberi a camme, in una grande macchina di cui ognuno tenta di prendere il controllo. La metafora popolare parla di un “nido di serpi”. Partecipare a queste società di morti-viventi soffoca l’anima. Il male è ciò che fa di noi dei insetti…

Il diavolo è un satiro con le corna che infila i dannati in fondo all’inferno, vale a dire l’immagine sorprendente e facile da ricordare dell’insieme dei rapporti di odio, delle relazioni di potere e dei sentimenti di tristezza. Il narcisismo e la cattiveria, l’accusa e il senso di colpa, il potere e la paura, il “bisogno di amore” e l’insensibilità, la collera e l’odio…

Il nostro ego ha come alleati naturali gli ego degli altri. Gli ego degli altri vengono a dare manforte al nostro ego. Tutti gli ego non formano che un unico ampio sistema di sofferenza parassita che è solo incline a estendersi e che spinge le anime a distruggersi reciprocamente mentre beve il loro sangue.

Il male è un meccanismo impersonale, irresponsabile, automatico, implacabile, che mira a espandersi e a rafforzare il suo impero con ogni mezzo. Ogni volta che soffriamo è la sofferenza di tutti gli esseri. Infatti, la sofferenza, impersonale si propaga da un’anima all’altra. Si trasmette come un’epidemia che rifuggiamo. Come un incendio sul quale soffiamo. Ora, rifuggendo la sofferenza, non ce ne sbarazziamo, contaminiamo gli altri. Ma se smettiamo di rifuggirla, allora soffriamo perché smette di trasmettersi, fermandosi presso di noi. E lì soffriamo ancora per tutti gli esseri.

Una volta che certi automatismi emotivi e intellettuali si sono impossessati di noi, dobbiamo nutrirli costantemente. L’automatismo si fa passare per la parte più intima dell’io mentre è un parassita che succhia la nostra vita. Avidità, aggressività, dipendenze, comportamenti ripetitivi, riflessi; non solo questi automatismi ci fanno lavorare tutta la vita, ma esigono anche che gli altri lavorino per loro!

Rifiutiamo di essere asserviti a qualsiasi automatismo, che sia il nostro o quello degli altri. Gli automatismi degli altri possono farci lavorare al loro servizio solo perché si rivolgono ai nostri automatismi: così funziona il sistema del male, la catena degli ego che si rinforzano reciprocamente.

Ne usciamo solo attraverso la disciplina del distacco e della presenza. Sì, l’antidoto assoluto all’automatismo è la presenza poiché, dal momento che siamo presenti, veramente presenti, non possiamo più essere guidati da questi automi che di solito ci governano. Un automa non può essere presente.

Un essere presente non è più un automa. Vincere il male in se stessi e vincere il male nel mondo sono esattamente la stessa cosa. Smettere di combattere contro il mondo e smettere di combattere contro se stessi sono esattamente la stessa cosa: la vittoria sul male. Il male non molla facilmente la propria preda: si batte fino alla morte.” (Pierre Lévy, Il fuoco liberatore, Luca Sossella Editore, 2006.)

martedì 5 aprile 2016

La sensazione di “Io sono”



Shiva disse: "O creatura dagli occhi di loto,
dolce alle carezze, quando canti, vedi, assapori,
sii consapevole di essere e scopri l'immortale.”

Questa tecnica insegna, mentre si fa una cosa qualsiasi - cantare, vedere, assaggiare qualcosa - a essere consapevole di esistere e a scoprire l'immortale: cioè a scoprire dentro di sé il flusso, l'energia, la vita, l'immortale. Purtroppo non siamo consapevoli di noi stessi. Gurdjieff usò il ricordarsi di Sé come tecnica base, in Occidente. Il ricordarsi di Sé, deriva da questo sutra. Tutto il sistema di Gurdjieff si fonda su questo sutra: ricordati di te stesso, qualsiasi cosa fai. È molto difficile. Sembra facile, ma non farai che scordartene.

Non riesci a ricordarti di te stesso neppure per tre o quattro secondi. Avrai la sensazione di ricordartene, ma all'improvviso ti sarai spostato su qualche altro pensiero. Persino questo pensiero: “Bene, mi sto ricordando di me stesso” te ne farà scordare, perché questo pensiero non è un ricordarsi di Sé. Nel ricordarsi di Sé non esiste pensiero alcuno; tu sarai completamente vuoto. E il ricordo di Sé non è un processo mentale. Non è dirsi: “Certo, io sono.”

Dirsi questo significa essersi lasciati sfuggire il proprio sé. Questo è un prodotto della mente; è un processo mentale dire: "Io sono." Devi sentire “Io sono” non dire “Io sono”. Non verbalizzare. Devi semplicemente sentire di essere. Non pensare. Senti! Provaci. È difficile, ma se continui a insistere, accade. Mentre cammini, ricordati che esisti, e senti il tuo essere, non un pensiero qualsiasi, non un'idea. Sentilo e basta. Ti tocco la mano oppure metto la mia mano sulla tua testa: non verbalizzare.

Senti semplicemente il tocco, e in quella sensazione non sentire solo il tocco, ma anche colui che viene toccato. In quel modo la tua consapevolezza diventa una freccia a due punte. Cammini sotto gli alberi: ci sono gli alberi, c'è la brezza, il sole sorge. Intorno a te esiste il mondo; tu ne sei consapevole. Fermati per un attimo e all'improvviso ricordati di esistere, ma non verbalizzarlo. Abbi solo la sensazione di esistere. Questa sensazione inespressa a parole, anche se dura un solo istante, ti darà un'intuizione.

Un'intuizione che nessun LSD ti può dare, un'intuizione di cosa sia il reale. Per un istante vieni ributtato nel centro del tuo essere. Tu sei dietro allo specchio; hai trasceso il mondo dei riflessi; sei esistenziale. E lo puoi fare in qualsiasi momento. Non occorre uno spazio particolare o un tempo preciso. Inoltre, non puoi dire: “Non ho tempo.”

Lo puoi fare mentre mangi, puoi farlo mentre fai il bagno, puoi farlo mentre cammini o sei seduto, in qualsiasi momento. Non importa ciò che stai facendo, all'improvviso ti puoi ricordare di te stesso, e in seguito cerca di conservare quell'intuizione del tuo essere. Sarà difficile. Un istante avrai la sensazione che è presente, l'istante successivo te ne sarai allontanato. Saranno subentrati dei pensieri, sarai stato distolto da qualche riflesso, e ti sarai lasciato coinvolgere da quei riflessi.

Ma non rattristarti, non sentirti deluso. Accade perché per vite intere ci siamo preoccupati dei riflessi. È diventato un gesto automatico. Immediatamente, automaticamente, veniamo ributtati nel riflesso. Tuttavia, se anche solo per un istante hai un'intuizione, è sufficiente per iniziare. E come mai è sufficiente?

Perché non vivrai mai due istanti contemporaneamente. Avrai a disposizione sempre solo un istante. E se riuscirai ad avere quell'intuizione per un solo istante, potrai acquistarne coscienza. Occorre solo uno sforzo, è necessario uno sforzo costante. Gurdjieff provò da un lato: prova a ricordare di esistere. Ramana Maharshi provò dall'altro: creò una meditazione in cui si chiede, si interroga: “Chi sono?” senza credere a nessuna delle risposte che la mente è in grado di fornire.

La mente dirà: “Che assurdità chiedi? Tu sei questo, tu sei quello, sei un uomo, una donna, sei colto oppure analfabeta, ricco o povero”. La mente fornirà risposte, ma tu continua a chiedere. Non accettare nessuna risposta, perché tutte le risposte che la mente ti da sono false. Provengono dalla parte di te che è irreale. Provengono dalle parole, dai testi sacri, da condizionamenti, dalla società, dagli altri.

Tu continua a chiedere. Lascia che la freccia del “Chi sono?” penetri sempre più in profondità. E verrà il momento in cui non ti verrà data più nessuna risposta. Quello è il momento giusto. Ora ti stai avvicinando alla risposta. Quando non sorge più nessuna risposta, sei vicino alla risposta, perché la mente si sta azzittendo. O meglio, ti stai allontanando moltissimo dalla mente. Quando non ci sarà più una risposta e intorno a te sorgerà uno spazio vuoto, il tuo interrogarti sembrerà assurdo.

Chi stai interrogando? Non c'è nessuno che ti risponda. All'improvviso, perfino il tuo interrogarti si arresterà. Con la domanda, l'ultima parte della mente si è dissolta, perché anche questa domanda era frutto della mente. Quelle risposte erano frutto della mente e anche la domanda apparteneva alla mente. Ora si sono dissolte, per cui adesso sei. Provalo. E più che probabile, se persisti, che questa tecnica ti possa dare una intuizione del reale, e il reale è l'immortale.” (Osho Raineesh)

domenica 3 aprile 2016

Il nemico interno



“Se devi proprio essere egoista,
sii saggio e amplia le vedute del tuo egoismo.”
(Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama)

“Gli stati mentali negativi sono la principale causa di rinascita nel Samsara, cioè nel ciclo dell’esistenza. Senza di essi, le azioni karmiche non avrebbero il potere di portare alla rinascita; sarebbero simili a semi che vengono bruciati. È molto importante cercare gli antidoti agli stati mentali negativi, e questo dipende a sua volta dalla possibilità di identificarli con esattezza. Perciò dobbiamo essere molto chiari sulle caratteristiche generali e individuali degli stati mentali negativi.

Come diceva il primo Dalai Lama, devi domare l’unico nemico interno, ossia la passione negativa. I nemici esterni possono essere molto pericolosi, ma nelle vite future potrebbero trasformarsi in amici. Anche ora ci forniscono l’opportunità di praticare la pazienza e la compassione, dato che siamo tutti fondamentalmente uguali: infatti tutti cerchiamo la felicità e respingiamo la sofferenza. Ma il nemico interno, lo stato mentale negativo, non ha qualità positive : va soltanto combattuto e distrutto.

Dobbiamo dunque identificarlo chiaramente e vedere come opera. Qualsiasi stato mentale che distrugga la calma e provochi sofferenza, che travolga, affligga e tormenti la mente va considerato una distorsione negativa. Proviamo a identificare alcuni dei principali stati mentali negativi. Il primo è l’attaccamento, che è un forte desiderio di persone che ci piacciono, di cose belle o esperienze piacevoli. È molto difficile liberarsene; è come se la mente si fosse fissata su quell’oggetto.

Un altro stato mentale negativo è l’ira. Quando una persona si arrabbia, la vediamo perdere immediatamente la compostezza; la sua faccia diventa rossa e corrucciata, gli occhi si iniettano di sangue. L’oggetto dell’ira, animato o inanimato, viene considerato indesiderabile e repellente. L’ira è uno stato mentale incontrollato, violento e impetuoso. Un’altra passione negativa, l’orgoglio, è uno stato mentale basato sul narcisismo egocentrico, che porta l’individuo a ritenersi superiore agli altri per la propria condizione sociale, la propria posizione e le proprie conoscenze.

Chi è molto orgoglioso appare molto arrogante e presuntuoso. Poi viene l’ignoranza che disconosce l’identità della Quarta Nobile Verità, la legge del karma e così via. In questo particolare contesto, l’ignoranza è un fattore mentale che induce a ignorare totalmente la natura dei tre Gioielli (il Buddha, la sua dottrina e la comunità spirituale) e la legge del karma. Infine c’è il dubbio che porta a non essere certi delle Quattro Nobili Verità, della legge del karma ecc.

Come disse Tsong-kha-pa (1357-1419), famoso maestro del buddismo tibetano, tutti i regni in cui possiamo rinascere nel ciclo dell’esistenza, dalla sommità del paradiso all’abisso dell’inferno, condividono la natura della sofferenza. Ma queste sofferenze non sorgono senza una causa, né sono create da un dio onnipotente. Sono in realtà il prodotto dei nostri stati mentali negativi e delle nostre azioni karmiche che scaturiscono da una mente non controllata.

La radice prima di qualsiasi sofferenza è l’ignoranza che interpreta erroneamente la natura dei fenomeni e si considera come esistente in sé. Essa tende a esagerare il loro status e crea le categorie del sé e degli altri. Ciò conduce a esperienze di desiderio e di odio, che a loro volta provocano ogni sorta di azioni negative; e queste ultime danno luogo a tutte le nostre sgradevoli sofferenze. Se vogliamo evitare queste sofferenze, dobbiamo stabilire se sia possibile liberarcene.

Poiché l’ignoranza che produce una concezione fallace del sé è una consapevolezza sbagliata, può essere eliminata correggendo l’errore. Lo si può fare generando nella nostra mente una saggezza che realizzi il contrario di quello stato mentale, una saggezza capace di comprendere che di fatto un tale sé non esiste in modo intrinseco. Quando paragoniamo questi due stati della mente - l’uno che crede in un sé intrinsecamente esistente e l’altro che coglie la non-esistenza del sé - la percezione del sé può apparire inizialmente molto forte e potente. Ma poiché si tratta di una coscienza erronea, di una semplice illusione, non ha un sostegno logico.

L’altro tipo di mente, quello che comprende la non-esistenza del sé, a uno stato iniziale può essere debole, ma ha un sostegno logico. Prima o poi questa saggezza che percepisce la non-esistenza di un sé avrà il sopravvento. All’inizio la verità può non apparire così ovvia; però, quando ci avviciniamo ad essa, diventa sempre più evidente. Una concezione falsa può sembrare in principio molto solida e certa, ma alla fine, quando la sottoponiamo a ulteriori verifiche, diventa più debole e da ultimo si dissolve.

Dopo aver constatato che tutte le esperienze del ciclo dell’esistenza condividono la natura della sofferenza, dovremmo sviluppare un desiderio genuino di liberarcene. Spinti da questo desiderio, dovremmo entrare nella via dei tre addestramenti: l’addestramento nell’etica, l’addestramento nella concentrazione e l’addestramento nella saggezza. di questi tre, l’antidoto che eliminerà gli stati mentali negativi è la saggezza che realizza la non-esistenza del sé. A tale scopo abbiamo bisogno come base della stabilità mentale della concentrazione, la quale a sua volta dipende dall’osservanza delle regole della pura moralità.

Quindi dobbiamo addestrarci anche all’etica. Allo stadio iniziale, si dovrebbe dare la priorità proprio alla pratica della moralità, perché è la necessità più immediata. Tsong-kha-pa dice che l’attenzione e l’introspezione sono il fondamento dell’intero Dharma. Per esercitare una pura osservanza dell’etica, sono richieste le facoltà dell’introspezione e di una giusta consapevolezza. Per i laici, l’osservanza della pura moralità, che impedisce le azioni negative, è la base della pratica che conduce all’illuminazione.

Se non prendiamo in considerazione certe regole pratiche, come l’osservanza dei principi morali, ma andiamo alla ricerca di metodi più sofisticati, la nostra esperienza sarà falsa e priva di serietà. Attraverso l’esercizio di questi tre addestramenti - nell’etica, nella concentrazione e nella saggezza - dovremmo lavorare per raggiungere la liberazione non soltanto per noi stessi, ma anche per tutti gli esseri senzienti.“ (Dalai Lama, Il nostro bisogno d’amore, Oscar Mondadori)