domenica 22 maggio 2016

Noi e il mondo




“L'uomo è dove è il suo cuore,
non dove è il suo corpo.”
(Mahatma Gandhi)

“La mancanza d’amore costituisce uno stato di ottusità spirituale, poiché l’amore è la perfezione della coscienza. Noi non amiamo perché non comprendiamo, piuttosto non comprendiamo, perchè non amiamo. Giacché l’amore è lo scopo ultimo di tutte le cose intorno a noi; non è un semplice sentimento, ma è la verità, la gioia posta a base di tutta la creazione, la splendida luce della coscienza pura che emana da Brahma.

Quindi per divenire una cosa sola con questo Sarvanubhuh, questo Essere Onnisenziente che risiede nel cielo esterno come nell’intimo dell’anima nostra, dobbiamo raggiungere la suprema altezza della coscienza che è l’amore. “Chi avrebbe avuto respiro e moto se il cielo non fosse ricolmo di gioia e di amore?” innalzando la nostra coscienza fino all’amore, ed estendendo questo all’intero universo, noi possiamo conseguire Brahma-vihara, la comunione con l’infinita gioia.

L’amore largisce se stesso spontaneamente in infinito numero di doni; ma questi doni perdono il loro più alto significato se noi non raggiungiamo per mezzo loro quell’amore che è il donatore. E, per ottenere ciò, bisogna che l’amore riempia il nostro cuore. Chi non nutre amore apprezzerà i doni di un amante solo in quanto possono essergli utili; ma l’utilità è cosa temporanea e limitata, non può mai prendere tutto l’essere nostro.

Le cose che ci sono utili interessano solo quella parte di noi che è soggetta a qualche bisogno. E quando questo bisogno è soddisfatto, l’oggetto che era utile diviene fastidioso. Al contrario il più tenue ricordo ci è di gran valore quando il nostro cuore ama, perché esso non ci serve a un qualsiasi uso, ma è fine in se stesso, riguarda tutto l’essere nostro e perciò non ci stancherà mai. Ora si domanda: in che modo ci comportiamo noi al riguardo del mondo che è un perfetto dono della gioia?

Abbiamo saputo accoglierlo nel nostro cuore insieme alle cose di infinito valore che vi conserviamo religiosamente? Noi ci adoperiamo con ardore a sfruttare tutte le forze dell’universo per aumentare sempre di più la nostra potenza; ricaviamo dai suoi prodotti il nutrimento e i mezzi per coprirci. Ci azzuffiamo per le sue ricchezze; lo trasformiamo in un campo di feroci pretese. Ma eravamo nati per questo, per badare solo ad accrescere i nostri diritti di proprietà sul mondo e ridurlo ad una mercanzia posta in vendita?

Quando la mente nostra si rivolge tutta solo a utilizzare le cose del mondo, questo perde il suo vero valore per noi. Ciò che si dice dell’uomo vale anche per l’universo. Quando guardiamo questo mondo attraverso il velo dei nostri desideri, lo rendiamo piccolo e meschino, e non riusciamo quindi a comprenderne la piena verità. Certamente è naturale che noi ci serviamo delle cose del mondo ogni volta che ci siano necessarie, ma i nostri rapporti con esso non devono arrestarsi qui.

Noi siamo congiunti all’universo con vincoli più reali e più intimi che quello della sola necessità. L’anima nostra è attratta verso di esso; infatti il nostro amore per la vita non è che il desiderio di mantenere durevoli i nostri rapporti con l’universo; e questi rapporti devono essere d’amore. Noi siamo felici di trovarci al mondo, e vi siamo attaccati per innumerevoli fili che si estendono da questa terra fino alle stelle.

L’uomo cerca vanamente di provare la sua superiorità pretendendo di essere sostanzialmente distinto da quello che egli chiama "il mondo fisico" e nella sua cieca esaltazione egli arriva fino a ignorarlo addirittura, o a ritenerlo il suo peggior nemico. Tuttavia, più la scienza progredisce più si rende difficile all’uomo stabilire tale distinzione, e tutti i confini immaginari che egli ha elevato intorno a sé vanno cadendo uno dopo l’altro. 

Quindi ogni volta che noi perdiamo qualcuno di quei segni di assoluta distinzione per i quali avevamo dato alla nostra umanità il diritto di ritenersi diversa dalle cose d’intorno è una grave umiliazione che ci viene inflitta; pure ci è necessario sopportarla. Se noi eleviamo lungo il cammino della conoscenza di noi stessi la nostra superbia, per stabilire separazioni e disunione, prima o poi quella superbia dovrà andare travolta sotto le ruote della verità e ridursi in polvere. 

No, noi non siamo sotto l’oppressione di questa mostruosa superiorità, che sarebbe priva di senso nel suo strano isolamento. Sarebbe la nostra degradazione il dover vivere in un mondo immensamente inferiore a noi per valore spirituale nello stesso modo che ci ripugnerebbe e avvilirebbe essere circondati e serviti da uno stuolo di schiavi, giorno e notte, dalla nascita fino alla morte. Al contrario, il mondo è nostro pari, anzi, noi siamo una sola cosa con esso.” (Rabindranath Tagore)

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